Caro fitti: il diritto allo studio negato e la cattiva coscienza di Milano
La protesta degli universitari contro il caro affitti è partita da Milano. Non poteva che essere così, essendo Milano una delle città più care d’Italia e quindi al costo degli affitti si sommano per gli studenti i costi per vivere fuori sede. Poi ha contagiato Roma, altre città italiane ed è destinata ad estendersi. Perché il disagio e le difficoltà che devono affrontare gli studenti fuori sede riguarda tutto il Paese.
Sono circa 700.000 e le logiche di mercato che regolano il costo degli affitti sono impietose ovunque.
Perché dico che la contestazione non poteva che partire da Milano? Perché dentro l’immagine dorata della Milano ricca e per i ricchi, cavalcata e perseguita con tanta tenacia dalla cosiddetta giunta di sinistra, si nascondono le grandi contraddizioni di una città per pochi, che espelle i ceti meno abbienti e non affronta di fatto alcuna rilevante questione sociale per chi ha più bisogno.
Qui sta il punto. L’assenza di una politica della casa a Milano ha costretto solo nell’ultimo anno più di 70 mila persone a trasferirsi nel suo hinterland. E in nome della cosiddetta “rigenerazione urbana”, dice l’assessore all’urbanistica si è praticata la “rigenerazione delle persone” affermando che “le città di successo hanno la capacità impressionante di rigenerare continuamente i propri cittadini”. Una concezione preoccupante.
A Milano contano, ormai da più di dieci anni, solo gli immobiliaristi e le società finanziarie che si sono di fatto sostituite ai poteri decisionali della politica.
Società impegnate nella costruzione solo di edilizia costosa, inaccessibile alle famiglie meno abbienti, ed anche del ceto medio. Il tutto sotto la patina “dorata”, altrettanto banale, dei cosiddetti archistar, produttori di “oggetti edilizi” uguali in tutto il mondo, senza alcun rispetto della cultura e della forma della città.
Così, nel corso di pochi anni, questi interventi hanno cambiato il volto di Milano, snaturandola. Con l’effetto perverso di aumentare tutti i valori immobiliari. Anche degli appartamenti privati, favorendo la tendenza anche dei piccoli proprietari ad affittare stanze o posti letto agli studenti piuttosto che alle famiglie, o trasformare i propri alloggi in Airbnb.
È in questo contesto che si colloca la questione della carenza di case per gli studenti a prezzi accessibili. D’altra parte non c’è soluzione, se tutto è lasciato nelle mani del mercato privato e nell’incapacità del Comune e della Regione di trovare le risorse necessarie per garantire una domanda crescente attraverso la realizzazione di nuovi studentati pubblici, non può che finire così.
Diversamente (domandiamoci perché?) da ciò che è avvenuto per anni, a partire dagli anni ’80, quando attraverso gli ISU-Istituti per il diritto allo studio universitario, ci si preoccupava di garantire la realizzazione di collegi e residenze universitarie, per colmare il gap tra domanda e offerta. La politica del diritto allo studio.
Le tende di Milano sono quindi lì a dimostrare in primo luogo la carenza di studentati pubblici, ma anche l’incuria dell’amministrazione comunale che ha consentito la chiusura ormai da anni della gloriosa Casa dello Studente di viale Romagna e non ha messo in conto la possibilità di utilizzare immobili comunali dismessi, adatti alla riconversione in case per gli studenti, come il grande edificio dell’Istituto Marchiondi a Baggio.
D’altro lato il disinteresse per gli studenti è mosso dalla convinzione che essi siano ricchi. Errore grave. Tanto grave che molti studenti italiani che non hanno la disponibilità economica di sopportare costi per gli affitti troppo alti, hanno già deciso di andare all’estero in altre facoltà straniere, perché a parità dell’offerta didattica a Berlino, a Monaco e persino a Stoccolma, i costi degli affitti sono più bassi che da noi. Bontà loro, se ne sono accorti oggi persino i magnifici rettori. Che hanno dovuto vedere una tenda piazzata davanti al Politecnico per prendere atto che l’assenza politica del Comune e della Regione, per calmierare il costo degli affitti, sta già determinando una perdita di attrattività delle università milanesi.
Per non parlare del Comune che l’unica cosa che ha saputo dire a caldo è: “deve intervenire il Governo”. Sbagliata, perché in primo luogo conferma che da parte del Comune non c’è alcun piano organico per la realizzazione di nuovi studentati con risorse proprie. Dall’altro perché sembra di capire che il Comune di Milano non si sia reso conto che i fondi del Pnrr, pari a 960 milioni di euro a livello nazionale per realizzare 60 mila nuovi alloggi per studenti entro il 2026, sono in buona parte un imbroglio. Essendo destinati a operatori privati senza alcun vincolo sui canoni di affitto, né sull’obbligatorietà di destinarli agli studenti. Infatti paradossalmente quando non fossero richiesti dagli studenti, proprio per i prezzi troppo alti, possono essere affittati a turisti. Una norma del Pnrr che sembra fatta apposta per le città turistiche italiane che sono contemporaneamente città universitarie, Milano compresa.
A proposito riporto un dato sconvolgente. Una tale Campus X” ha ottenuto 18 milioni di euro di fondi Pnrr per realizzare 580 posti a Milano con tariffe per gli studenti, cosiddetti privi di mezzi, che vanno da circa 800 euro per una stanza singola a 450 euro per un posto in una doppia. Ma che cos’è Campus X? Ne più ne meno che una grande società immobiliare che interviene in questo settore a livello nazionale in logica puramente speculativa. Che si presenta con una particolare immagine: “CX Milan | Bicocca Student & Explorer Place. Fresh, Fashion, Fabulous. La nuova frontiera dello student lifestyle”. Nella acquiescenza totale della pubblica amministrazione.
Ma ancora più interessante. La CampusX è una società controllata da Ernesto Albanese e Stefano Tanzi (fonte ilSole24ore) rispettivamente Amministratore delegato e Presidente di “Fattore Italia” che promuove a sua volta progetti per la gestione di iniziative turistico alberghiere, membri di alcuni consigli di amministrazione di altrettante società che operano nel settore immobiliare.
La battaglia iniziata a Milano è quindi esemplare perché mette il dito nella piaga di questioni molto più grosse di quanto non possano apparire. In una città ormai fuori controllo pubblico.
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