Nuovo Pgt, chiudere la stalla quando i buoi sono scappati
Confesso che il documento del Comune di Milano intitolato “Rigenerazione urbana. Equità e distribuzione: i criteri guida per rivalutare gli oneri di urbanizzazione” mi ha causato un forte accesso di ilarità.
Il documento prevede un aumento degli oneri di urbanizzazione nella parte centrale della città, fino alla circonvallazione esterna, aumento modesto confrontato con gli standard delle grandi città estere, ed una rivalutazione limitata al 10% nella fascia più esterna.
Mi è venuto in mente il famoso detto “chiudere la stalla quando i buoi sono scappati” peccato che qui non solo si chiude la stalla, ma al di fuori di essa si appronta un ricco pascolo.
E’ così, perché la feroce crescita immobiliare che ha devastato la parte centrale di Milano, causando un enorme aumento dei valori immobiliari e la fuga fuori Milano di decine di migliaia di famiglie milanesi ogni anno, godendo di oneri di urbanizzazione ridicoli in rapporto a quelli in uso nelle grandi capitali europee, adesso si potrà riversare fuori della circonvallazione esterna godendo di oneri sempre assai bassi.
Questo mi fa pensare, e reinterpretare la storia urbanistica di Milano degli ultimi vent’anni.
Nel libro che ho scritto nel 2019 (“Le insidie dell’urbanistica milanese” Biblion Ed.) ho documentato il recente stravolgimento dell’assetto macrourbanistico dell’area milanese.
Questo stravolgimento ha violato il fondamentale patto sociale che legava Milano alla sua grande area urbana, costituita da un insediamento policentrico di oltre cinque milioni di abitanti (secondo Eurostat), un patto che garantiva a tutti gli abitanti di quest’area di essere parte del sistema economico milanese, al pari dei milanesi e con gli stessi diritti, scontando solo un maggior tempo nei trasporti.
Un patto attivo almeno dal 1915 quando, in Lombardia, erano in funzione 1.413 Km di linee ferroviarie dello Stato, 525 Km di ferrovie in concessione, più 1.518 Km di tranvie extraurbane.
Un patto riconfermato al tempo del primo piano regolatore di Milano quando non si volle ingrandire la città per “alleggerire la tensione concentrica e impedire la dilatazione a macchia d’olio della metropoli”[1]
Un patto che era sostenuto da due fondamentali garanzie: accessibilità e protezione sociale.
Accessibilità con un sistema di trasporto pubblico efficiente e sempre incrementato (con tranvie e ferrovie e poi metropolitane e inoltre il passante ferroviario, senza dimenticare la rete stradale) e protezione sociale con importanti interventi di edilizia sociale (Milano sviluppò case popolari prima ancora che la legge nazionale le contemplasse). Ma anche la possibilità di essere parte attiva dell’economia milanese pur abitando in un piccolo comune dell’area, con alloggi a bassi costi, è un’indiretta protezione sociale. Inoltre, penso che tutti ci ricordiamo il CIMEP (Consorzio Intercomunale Milanese per l’Edilizia Popolare) discioltosi nel 2011.
Ad un certo punto questo processo si arrestò, la Giunta Moratti non intese portare avanti il progetto del secondo passante, né i parcheggi d’interscambio al servizio del lavoratori provenienti dall’area urbana, né quella dei parcheggi interrati per residenti, revocati per metà della quantità iniziale deliberata (circa 20.000 posti persi). E la Giunta Pisapia, poi, non seppe opporsi a questo stallo.
Nel frattempo, con il PGT predisposto dalla Giunta Moratti, l’urbanistica cambiò nettamente orientamento; lasciando sempre più mano libera all’ immobiliarismo privato. E ormai siamo nel pieno della grande bolla immobiliare che sta espellendo i milanesi dalla loro città.
Perché questa brusca inversione di una storica politica che aveva fatto di Milano la città più inclusiva?
Mi è venuto in soccorso il bel libro di Lucia Tozzi (“L’invenzione di Milano” Cronopio), una profonda immersione nel neoliberismo classista della città che, partendo dall’Expo, ha raccontato tutte le tappe della costruzione del brand di Milano, falsamente ammantato di un qualche sinistrismo, attraverso la successione delle cessioni a privati di sempre maggior potere, fino a giungere all’affidamento a privati anche della gestione di piscine, parchi, e altri servizi pubblici.
Il tutto, naturalmente, con la complicità degli architetti “più cool”.
Una città dove le famiglie e i loro appartamenti vengono sostituite da mini alloggi per giovani singoli in carriera, per la gioia di Airbnb. E per le manifestazioni: per il “design week “sale del 2000% la richiesta di appartamenti sul sito Airbnb”, titola il Corriere del 15 aprile scorso.
Una città, aggiungo, dove le facoltà della Statale e l’Istituto dei Tumori vengono trasferiti l’una nella ex sede dell’Expo e l’altro a Sesto san Giovanni, mentre il trasferimento a Lodi della Facoltà di Agraria consentirebbe l’ampliamento di entrambi, nella loro storica sede a Città Studi. Una città dove le aree liberate dagli impianti ferroviari, anche quelle poste a ridosso delle stazioni, vengono assegnate a privati e non ad ospitare servizi pubblici che potrebbero essere raggiunti in treno da tutta la Lombardia.
Una città dove anche uno snodo stradale come Piazzale Loreto viene investito da un progetto immobiliare. Un progetto che quanto a viabilità è copiato da Place de la République di Parigi, e genererà gli stessi maxi ingorghi, ma al centro non avrà un grande spazio pubblico, come a Parigi, ma un bel centro commerciale e a lato un grattacielino.
Una città dove alle zone di decentramento, vengono sostituiti quartieri con nomi inventati, come dice Lucia Tozzi, vedi l’orrendo “NoLo” (mi ci è voluto un bel po’ di tempo per capire di cosa si trattasse).
Una città in cui la movida notturna dei giovani milanesi e di quelli calati da tutto l’intorno si appropria di interi quartieri (Navigli, via Lecco, via Santa Croce) devastando la vita degli abitanti, senza che nessuno intervenga.
E allora si capisce: se Milano deve essere una merce, cosa ce ne facciamo della sua grande regione urbana policentrica, e di quegli oltre tre milioni di abitanti? Milano deve essere vista come unica, sola, famosa, eccitante, piena di grattacieli: un’icona banalmente internazionale, ma vendibile a caro prezzo e da cui estrarre tutto il valore possibile.
L’assetto strutturale non interessa più. Gli abitanti della regione urbana si arrangino con le infrastrutture che già ci sono, con le attuali ferrovie e stazioni prive di parcheggi d’interscambio, con le autostrade intasate, piene di auto immobili alla mattina e alla sera, perché loro non fanno più parte di Milano. Sono un contorno, utile sì per il lavoro che svolgono e i servizi che garantiscono, ma il solo brand è Milano.
Intanto la Provincia, che li difendeva, non c’è più, è stata sostituita dalla Città Metropolitana, con a capo lo stesso Sindaco di Milano e gestita da un assessore.
Intanto nessuno si rende conto che gli abitanti espulsi da Milano per l’eccessivo costo delle case, in molti casi, se non disporranno di un mezzo pubblico adeguato, forzatamente torneranno come automobilisti.
Il fondo del Quatar spadroneggia in città? Bene, allora siamo famosi, siamo come le altre grandi metropoli!
Il consigliere Monguzzi si lamenta che troppe auto entrano in Milano, nonostante l’area B?
Ma sono i trasporti pubblici e gli interscambi che fanno diminuire le auto in ingresso: dagli anni ’70 ad oggi, con le nuove metropolitane e il passante, sono diminuite di 400.000 unità. Non sono le restrizioni basate sulle emissioni.
Anzi, quelli che sono stati costretti a cambiare l’auto, a caro prezzo, si sentono legittimati ad usarla.
Ma, al Comune del brand Milano, ferrovie e parcheggi d’interscambio interessano poco, è riuscito anche a inventarsi una metropolitana interquartiere, passante anche al margine del Parco Sud, al posto della M6 correttamente prevista dal PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile).
Sarà forse ben voluta dagli immobiliaristi, ma è un unicum mondiale[2].
Ora gli oneri d’urbanizzazione, già scandalosamente bassi, raddoppieranno, saranno sempre più bassi in confronto a molte grandi città europee, ma ormai il grosso è stato fatto.
Saliranno solo del 10%, invece, quelli della periferia, nuovo campo libero per la gentrificazione.
Giorgio Goggi
*da www.arcipelagomilano.org
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