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Malara, il socialista calabrese con Milano nel cuore

Pubblicato: 12-02-2023
Malara, il socialista calabrese con Milano nel cuore

Un ricordo personale. Il 19 gennaio scorso perdevamo a Milano un amico. Con il quale per anni, e soprattutto negli ultimi decenni, avevamo condiviso battaglie e visioni.

Sapevamo della sua malattia, ma fino a qualche giorno prima eravamo in contatto per parlare dei Navigli. Di un progetto che, pur partendo da punti di vista diversi, ci aveva portato sulle stesso terreno. Cambiare Milano riaprendo i Navigli che il fascismo aveva chiuso per favorire già allora una delle più rilevanti speculazioni immobiliari del centro storico della città. Nel nome della modernità marinettiana, della velocità e dello spazio pubblico da asservire all’arrivo delle automobili.

Riaprire i Navigli, un progetto per sanare una ferita, per pensare a una Milano diversa, da quella di oggi. Perché al di là di chi governa, destra e sinistra fa pressoché lo stesso, ciò che prevale è la smania di presentarsi al mondo come una città ricca, quindi come città di pochi e non di tutti. La città che espelle e non include. La città dei molti misfatti. Compresa l’idea assolutamente criminale di abbattere lo stadio Meazza per favorire il risanamento finanziario delle squadre di calcio, attraverso con nuovi interventi immobiliari, privatizzando importanti patrimoni e aree pubbliche.

O riempire le grandi aree libere degli ex scali ferroviari di imponenti cementificazioni.

La città dei grattacieli, della finanza internazionale, la città costosa che riesce a garantire condizioni di vita accettabili solo ad una minoranza.

Riaprire i Navigli, per riportare a Milano l’acqua che dopo 700 anni gli era stata tolta e rendere così navigabili in Lombardia una delle più grandi reti di vie interne d’Europa. Realizzare l’itinerario, tanto a lui caro, della Locarno Venezia, passando per Milano, e quello ancora più intrigante da Colico a Venezia passando per il centro della città.

Un sogno comune, per una nuova Milano. 

Ma non solo. Amico e compagno di tante battaglie per una nuova architettura, per una diversa urbanistica, per una diversa politica e per una città di tutti. Un intellettuale calabrese, figlio di una importante famiglia cosentina, che arrivato a Milano si è identificato con la città, fino ad essere riconosciuto da tutti come un grande “milanese”.

Quindi Malara, che da calabrese ha amato Milano, ha pensato ad uno sviluppo diverso di questa città, ad un diverso paesaggio e a una diversa qualità ambientale. Architetto delle prime battaglie ambientaliste, che ha collaborato da socialista con gli amministratori socialisti a Milano e in Lombardia, per avviare grandi progetti ecologici, allora assolutamente all’avanguardia. Collaborando con Carlo Tognoli sindaco e con i socialisti in Regione, portando idee nuove e giustamente visionarie, molte delle quali allora videro la luce. L’impegno per la realizzazione di alcuni grandi parchi urbani e l’istituzione, ad esempio, del parco fluviale del Ticino negli anni ’70, insieme ad altri due importanti socialisti milanesi Achille Cutrera e Giulio Redaelli. Sulla spinta di una grande iniziativa popolare di cui loro furono i promotori, insieme a molti di noi, più giovani, e a tanti socialisti e amministratori socialisti, forse i primi a capire l’importanza politica delle battaglie per l’ambiente.

Profondamente legato alla sua Calabria e a Cosenza, Malara arrivò a Milano giovanissimo per laurearsi al Politecnico di Milano. Accompagnato fino davanti al cancello di Piazza Leonardo da Vinci nell’anno accademico 1952/53 da suo padre Nino, anarchico, una figura fondamentale per la sua formazione e per il suo impegno politico. Da che parte stava Empio Malara era chiaro fin dall’inizio. Quando più tardi decise di prendere contatto con i socialisti milanesi arrivò a Milano con una lettera di presentazione di Giacomo Mancini, di cui era amico e amico di famiglia.

Un amore per la sua Calabria, che ha condiviso fino all’ultimo, mantenendo rapporti con comuni amici, scrivendo fino agli ultimi mesi di vita per il Quotidiano del Sud, continuando a proporre e a suggerire nuovi progetti. Lui un calabrese che amava Milano, io un milanese che ha fatto della Calabria, per anni, un punto centrale di interesse politico. E di questo ho avuto il piacere di confrontarmi con lui.

Malara è sempre stato orgoglioso di aver potuto redigere il Piano Regolatore di Rende, chiamato dall’allora sindaco socialista Francesco Principe, e di essere stato poi inserito nel gruppo di lavoro per la redazione del piano urbanistico di Cosenza al fianco di Marcello Vittorini, altro grande architetto e urbanista socialista. Nasceva allora l’idea di fare di Cosenza-Rende una grande centralità regionale, un'unica città, questione ancora aperta oggi.

Ma come dicevamo Empio era figlio, oltre che di una grande madre, una sarta “mitica” e lungimirante di Cosenza, alla quale è sempre stato molto legato, di un importante padre, attivista e militante anarchico. Che, come diceva Empio, nel periodo fascista, fece del confino una vera “università” del “sapere” politico. Radicando “lotta antifascista e fede anarchica” fino alla fine della propria vita.

Ricordava Empio, con una punta di soddisfazione, quando mio padre morì a Roma nel 1975 il suo feretro fu accompagnato da un corteo spontaneo di giovani anarchici che cantavano “Addio Lugano bella, o dolce terra pia…”

Un tratto politico che rimase sempre, magari sotto traccia, ma indelebile, nel suo animo e nella sua cultura. E di questo spesso parlava.

Ma negli ultimi anni Empio era attraversato da un certo di pessimismo e da delusione. Quando dovette prendere atto che, nonostante il grande lavoro e impegno civile, generoso e disinteressato, per stare dalla parte delle istituzioni, al servizio gratuito come urbanista condotto e intellettuale di avanguardia, si erano accumulati a Milano troppi ritardi e tante sconfitte. Debolezza, incapacità, mancanza di volontà e coraggio, e anche tanta miopia da parte della classe politica locale dell’ultimo trentennio, non avevano consentito di portare in porto alcune battaglie assolutamente possibili e di fare alcune cose giuste che si sarebbero potute fare in poco tempo e con poche risorse.

Adesso non c’è più. Ci sono le sue idee che fino all’ultimo ci ha chiesto di continuare a tenere vive.

E come per il padre, se ne è andato anche lui sulle note di “Lugano bella”.

Quindi non solo architetto e uomo di cultura, come il perbenismo milanese lo vorrebbe ricordare, e lo ha ricordato, ma anche socialista fino in fondo, con alle spalle una grande storia politica di cui andava fiero.

Roberto Biscardini

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