Quanto ci manchi, compagno Palme!

Recentemente su “Il Mulino” (https://www.rivistailmulino.it/a/un-anno-di-guerra) un esperto come Andrea Ruggeri ha richiamato come, se può essere sostenuto che l’aiuto armato all’Ucraina è legittimo per convincere Putin a venire a patti, d’altro canto la sconfinatezza quantitativa e temporale di tale aiuto è la maggiore assicurazione che Zelensky non aprirà mai una trattativa. Un vero ed innegabilmente tragico dilemma, che induce al nero pessimismo se si aggiunge che dal campo del “nord globale” europeo sono anche scomparsi attori politici proponibili come mediatori. È qui che ci si rende conto ancora una volta che l’assassinio di Olof Palme, di cui ricorre il 37esimo anniversario, non è avvenuto una volta ad opera di piombo sicario, ma più volte, e con particolare frequenza dal 24 febbraio di un anno fa. Manca una neutralità come quella che con lui era giunta ad una particolare sistematicità. E mancherà ancora più tragicamente in futuro. Dopo avere ceduto a necessità di sopravvivenza fra 1940 e 1945 (concessioni commerciali e logistiche agli eserciti nazisti che circondavano il regno nordico), la “neutralità attiva”, ricostruita in versione particolarmente inattaccabile dopo il conflitto mondiale, fu senza dubbio anche perseguita come ripulitura di certi cedimenti. Ma si affermò solo grazie all’apertura verso la crescente realtà del protagonismo anti e postcoloniale, inclusa l’esplorazione comune di nuove dottrine dello sviluppo globale (il New International Economic Order), e la ricezione nella socialdemocrazia delle istanze anti imperialiste diffuse nelle giovani generazioni del post 1968.
Tutto grazie a tre idee di base: 1) la stabilità mondiale non era perseguibile con il mero equilibrio del terrore (punto di distinzione dai “realisti”, occidentali come sovietici) ma necessitava appunto di un nuovo ordine economico mondiale; 2) oltre a questa dimensione prevalentemente nord-sud, andava perseguita quella est-ovest: la sicurezza era tale solo se costruita in modo condiviso e comune fra i blocchi esistenti (quindi oggi con Russia e Cina) non solo mediante l’allargamento di uno di essi (la NATO degli anni passati); 3) nel far valere queste teorie e azioni era indispensabile l’azione di neutrali molto credibili (Svezia e Austria per esempio) come anche di paesi NATO critici (la RFT di Brandt per esempio, ma anche la Danimarca e la Norvegia fino a tutti gli anni 1980, o perfino l’Italia attiva sulle altre sponde del Mediterraneo).
A queste idee se ne aggiungeva un’altra: in ogni momento la democrazia era la scelta di Palme, che anzi rimarcava come la scelta socialdemocratica fosse discesa dal suo impegno giovanile contro il regime e i crimini stalinisti, non solo dalla critica ai sistemi capitalisti. Ma era un semplice irrefragabile fatto della storia che senza assumere i principi appena richiamati anche le democrazia più consolidate potevano essere, in modo diretto o indiretto, oggettivamente imperialiste e destabilizzanti per l’ordine globale (e qui paradossalmente Palme e i suoi compagni potevano avvicinarsi ad alcuni assunti “realisti”). Certo è che per scelte geostrategiche, principi politici di azione, e pratica quotidiana, la Svezia di Palme era sempre presente come credibile mediatrice in ogni conflitto, e come forza trainante in ogni consesso e commissione di dialogo fra classi dirigenti altrimenti distanti ed opposte. Per questo, si diceva, un così piccolo paese era come un pugile capace di combattere in categorie ben sopra il proprio peso. Vitale era poi che, fra i pesi massimi nucleari, quel pugile cercasse di persuadere gli altri a non combattere. Fornendo valide idee sul perché e sul come evitarlo. Oggi queste idee latitano, e la tomba di Olof Palme è ancora più silenziosa ed opprimente per tutti.
Paolo Borioni
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