Se fossimo in un mondo normale
Se fossimo in un mondo normale, gli stessi palestinesi, assieme al mondo arabo e alla collettività internazionale, potrebbero condannare o almeno prendere le distanze dal massacro del 7 ottobre. Che ha posto sì all’ordine del giorno la questione palestinese; ma al prezzo di rendere ancora più lontana nel tempo e più difficile la sua soluzione.
Se fossimo in un mondo normale si distinguerebbe nettamente tra diritto alla rappresaglia (circoscritta negli obbiettivi e nell’entità) e diritto alla vendetta; tanto più in quanto questa colpisce l’intera popolazione palestinese, con una violenza che è senza limiti a Gaza ma si manifesta anche in Cisgiordania.
Se fossimo in un mondo normale, definire i palestinesi come “bestie” o come “terroristi” dovrebbe essere qualificato per quello che è: razzismo allo stato puro.
Se fossimo in un mondo normale il Consiglio di Sicurezza dovrebbe essere coinvolto nella gestione della crisi, non foss’altro per contrastare, con possibilità di successo, la sua escalation.
Se fossimo in un mondo normale, l’occidente avrebbe in sé tutti gli anticorpi per distinguere le critiche legittime a Israele e al suo governo dall’antisemitismo; senza dover delegare come avviene adesso questo compito a Netanyahu e ai suoi portavoce.
Se fossimo in un mondo normale, non dovremmo lasciare a Stefano Levi della Torre il compito di spiegarci che il Nostro ha una grandissima parte di responsabilità nella condizione di insicurezza vissuta oggi, magari solo a livello psicologico, dagli ebrei nello stato di Israele e nel resto nel mondo. Vanificando, così, uno degli obiettivi principali del progetto sionista.
Se fossimo in un mondo normale si potrebbe, anzi si dovrebbe manifestare in tanti per i palestinesi e non in pochi contro i sostenitori di Israele. Essendo, per questo, passibili di vari tipi di accuse.
Se fossimo in un mondo normale dovrebbe essere lecito, se non addirittura doveroso, interrogarsi sulla natura e sulle finalità di una collaborazione scientifica. Anche ricorrendo ad opportune inchieste ufficiali o giornalistiche. Perché è quello che fa l’occidente nei confronti di una serie di paesi con i quali non è in guerra. Perché lo ha fatto Israele negando l’accesso a Gaza di materiali e prodotti, anche essenziali, che potrebbero essere utilizzati a fini bellici. E, infine, e soprattutto, perché esistono siti nel Negev, dove lo stato d’Israele sperimenta, a vantaggio anche di vari paesi del mondo tecniche più moderne per far fronte a manifestazioni di protesta.
Se fossimo in un mondo normale, gli atenei dovrebbero essere liberi di discutere qualsiasi argomento e di difendere il diritto al dissenso, contro qualsiasi tentativo di sottoporli al controllo e alla repressione di autorità esterne. E ciò comprende, in linea più generale, la difesa della libertà di opinione, quando non si traduca in apologia di reato o di istigazione al medesimo.
Se fossimo in un mondo normale, non sarebbe tollerabile dichiararsi a favore dei “due popoli due stati” e, al tempo stesso, non riconoscere lo stato palestinese e consentire che il suo popolo, non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania, sia privato anche delle condizioni base per una vita normale.
Se fossimo in un mondo normale dovremmo capire a un primo sguardo che il “diritto a difendersi”, evocato a ogni piè sospinto, è in realtà un dovere cui il governo e l’intelligence israeliana non hanno adempiuto. E che questo dovere non implica automaticamente la distruzione del nemico o di decine di migliaia di cittadini sino a prova contraria innocenti.
Se fossimo in un mondo anormale dovremmo fare di tutto per renderlo normale. Magari cominciando a esserlo noi stessi.
Alberto Benzoni e Roberto Biscardini
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