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Obiettivo Pace: ma è possibile?

Pubblicato: 02-11-2023
Rubrica: Tempi Moderni
Obiettivo Pace: ma è possibile?

La Pace, noi crediamo che sia un’aspirazione dell’Homo civilis, ma scavando nell’archivio della storia troveremo L'opera teatrale di Aristofane intitolata "La pace" (in greco antico "Εἰρήνη", Eirēnē). Si tratta di un’opera scritta nel 421 ac, durante la Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, un conflitto che afflisse la Grecia per molti anni. Il racconto si sviluppa come una commedia satirica e costituisce una satira politica e sociale dell'epoca. Il nucleo della trama ruota attorno a un cittadino ateniese di nome Trigeo (Trygaeus) che è stanco della guerra e desidera disperatamente riportare la pace in Grecia. Trigeo fa un sogno in cui vola su un coleottero gigante fino all'Olimpo, dove incontra le dee della Pace, Eirene (la personificazione della pace) e il suo seguito. Nel corso della commedia, Trigeo riesce a convincere Eirene a tornare sulla Terra con lui, e insieme cercano di riportare la pace in Grecia. Lungo il percorso, fanno riferimento a numerosi eventi e figure politiche dell'epoca, mettendo in ridicolo le guerre e le politiche bellicose dell'Atene democratica. La commedia si conclude con una celebrazione della pace, in cui i personaggi partecipano a un banchetto festoso e rappresentano la vita felice e prospera che potrebbe tornare in una società in pace. "La pace" di Aristofane è considerata uno dei suoi lavori più importanti, poiché riflette il desiderio di molte persone in Grecia (oggi, diremmo nel mondo) di porre fine alle guerre e tornare a una vita serena e felice. La commedia si distingue per il suo umorismo satirico e critica pungente alla politica.

La Pace, la ritroviamo nel percorso della nostra storia, ancora 2444 anni trascorsi da quella contenuta nell’opera di Aristofane, con 170 conflitti in atto nel mondo, secondo i dati dell'Uppsala Conflict Data Program (UCDP), un programma di ricerca sui conflitti realizzato dall'Università svedese di Uppsala. Ma solo su due, tra i conflitti in corso ritenuti pericolosi per la tenuta dell’equilibrio mondiale, l’attenzione del mondo guarda con preoccupazione e apprensione, all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, e alla guerra in corso tra Hamas e Israele. Eppure, pur permanendo l’obiettivo della cessazione delle guerre e intraprendere la via della Pace, l’opinione pubblica mondiale, l’Homo civilis, appunto, non sembra camminare sulla stessa strada per l’obiettivo comune. La pace, allora, si trasforma in una rivendicazione di vittoria, e la condanna di una delle parti in conflitto, anche se sei l’aggressore, c’è sempre una giustificazione politica, un inconciliabile proposito di rivalsa in contrasto con l’idea della composizione premessa alla pace. Nella scienza politica si indica come ideologica questa forma di assolutismo in cui prima si prende partito per una parte, discreditando l’altra, della quale ci si aspetta la resa o la distruzione per poi chiamarla Pace. E’ quanto sta accadendo in questi giorni.     

Sabato 28 scorso quasi in tutte le capitali dell’Europa si sono svolte manifestazioni cariche di rabbia contro Israele e a sostegno della causa Palestinese. Cartelli e striscioni, parodiati dalle grida dei partecipanti, condannavano la condotta di Israele contro il popolo di Gaza, duramente sottoposto ai bombardamenti da parte dall’IDF, l’esercito israeliano, dal cielo, da terra e dal mare, che ha causato e sta causando uno sterminio di indifesi cittadini, soprattutto bambini, donne e vecchi. Una manifestazione per la pace, è stato precisato dai suoi promotori, e per chiedere ad Israele di cessare di sganciare bombe e consentire l’apertura di percorsi da cui far passare gli aiuti umanitari, di medicinali, acqua, generi alimentari per una popolazione ormai agli estremi. Soverchianti erano le voci che assimilavano Israele al nazismo, accompagnando questo grido di accusa con la richiesta di scacciare gli ebrei dai territori occupati, riconsegnando ai palestinesi anche quello su cui è stato costituito lo stato di Israele.

Chiedersi se quelle manifestazioni vanno interpretate come una politica di allineamento dei pacifisti al metodo terroristico, allora la conseguenza sarebbe, come risposta, che l’obiettivo della pace non potrebbe realizzarsi mai e, altro risultato perdente per i manifestanti, che nessuna giustizia sarebbe resa al popolo palestinese, se non con la fine di Israele e la cacciata degli ebrei. E non aiuta a dipanare una matassa complessa come lo status belligerandi in corso definire Israele terrorista, specie se poi è accusata di genocidio, dopo gli eventi del 7 ottobre, che sono la causa scatenante di questo intervento, che a questo punto della distruzione e delle migliaia di morti, non è più interpretabile come un’azione di giustizia militare, ma una vendetta.      

Il pacifismo, in ogni circostanza, anche nelle fasi più difficili deve mantenere una sua peculiare funzione di equilibrio nei giudizi, come sulla reazione militare di Israele, e non ignorare per opportunità di parte la risposta all’efferato, barbaro massacro di Hamas, un movimento terrorista, invero non proprio candido se solo si pensa agli arresti, alle torture ai massacri di palestinesi commessi da questo movimento, anch’essi come milioni di Israeliani alla ricerca di un sogno di libertà, di pace e di giustizia. Si converrà con l’affermazione che la pace non ha confini, e tutto ciò che la mette in pericolo va denunciato. Allora, perché non associare alla richiesta di pace la denuncia dei massacri commessi nella guerra in Yemen, paese che sta attaccando Israele in combutta con l’IRAN e Hamas. E ancora, ricordare quanto avvenuto in Siria, dove l’esercito di Damasco ha bombardato, sepolto vivi i propri cittadini e venduto la sua sicurezza a un esercito di mercenari, la Wagner, provocando comunque la morte di oltre 35.000 cittadini. Una pace senza confini dovrebbe coinvolgere anche altri paesi e altri popoli sottomessi, uccisi, privati delle libertà più comuni, semplici diritti di umanizzazione, come il Sudan, o in Afghanistan, in Iran, in cui le donne sono private delle minime libertà di movimento, di autonomia, e incarcerate quando non uccise se trasgrediscono alle disumane regole religione imposte dai talebani. Non un accenno a quanto avviene in Cina contro il popolo degli Uiguri. Un silenzio in cui la pace perde la convinzione della ragione e della completezza del suo significato, nonostante che i morti di queste guerre siano un numero indefinibile.  

E’ giusto chiedere e lottare per la pace. Per la Pace perpetua, direbbe Kant. Anche i sostenitori dell’azione militare di Israele contro Gaza vogliono la pace, anch’essi sono scesi nelle piazze a manifestare a sostegno popolo Israeliano, perché hanno ben compreso che Hamas si è posta l’obiettivo di cancellare l’ebreo distruggendo lo Stato che lo rappresenta. Ma anche su questo fronte non è la coerenza che fa da guida alla ragione. Se non altro perché i morti del 7 ottobre non sono diversi dalle migliaia di morti di Gaza a seguito dei bombardamenti condotti da Israele, una distruzione che ormai è in atto da oltre 25 giorni. E nessuno sa cosa accadrà dopo. Neppure Nethanyahu, il vero colpevole di questo conflitto. La maggioranza del suo popolo lo vorrebbe fuori dal Governo, alla sbarra di un tribunale, ma lui resiste e, anzi, sembra voler trarre profitto da questa guerra brutale e disumana. Confida di fare presto, costi quel che costi al popolo di Gaza e ai suoi giovani militari. Avverte come la ribellione di gran parte della società civile, che come nel 68 vede coinvolto un fronte ampio di giovani, nei Campus Americani, nelle strade di molti Paesi Europei che chiedono di cessare la guerra contro Gaza e, molto spesso e con toni sempre più diffusi e accesi, rivendicare la liberazione dei territori occupai abusivamente per riconsegnarli al popolo Palestine.

Per Israele è un brutto momento, poiché anche molti Governi dell’Europa si stanno riposizionando sul sostegno ala sua guerra, anche per la spinta delle proprie opinioni pubbliche. L’Europa si divide all’ONU dopo che i 27 hanno votato un documento su Gaza, Biden si trova alle prese che un’opinione pubblica che si colloca dalla parte dei Palestinesi e, lui stesso, non sembra manifestare una grande vicinanza a Nethanyahu, preoccupato certamente per l’altro fronte dell’Ucraina e della Cina su Tawian.

Raggiungere la Pace non è, come si comprende, una strada facile, e non lo è neppure la prospettiva, il sogno di due popoli e due Stati. Questa guerra con i suoi morti, dall’una e dall’altra parte, è troppo cruenta e profonda per archiviarla nell’armadio della storia. Ci vorrà del tempo, sacrificio e tanta, tanta pazienza.

Alberto Angeli

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