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Una disfatta per la democrazia

Pubblicato: 14-02-2023
Rubrica: Tempi Moderni
Una disfatta per la democrazia

40% di votanti. Media ponderata tra Lombardia e Lazio. Caratterizzata ulteriormente ( per non dire aggravata) dal fatto che a votare di più, anzi a non votare di meno, sono stati i centri storici; mentre nelle periferie, a parole oggetto del desiderio, siamo intorno al 20 %.

Vorremmo poter dire che il non voto è stato un atto di protesta; pronto a rientrare in campo, in presenza di un soggetto pronto a raccoglierla e in grado di farlo: ma, almeno per ora, questo soggetto non c’è. Mentre, qui e oggi, l’astensione massiccia è stata nella sostanza frutto di rassegnazione. La presa d’atto che l’esercizio della democrazia è inutile.

Vero è che una campagna elettorale degna di questo nome praticamente non c’è stata. Candidati non particolarmente eccitanti; liste all’insegna dell’anonimato. Niente leader conosciuti; ma nemmeno l’intellettuale di grido e la figura popolare che non mancavano mai in questi casi. E, poi, ve li raccomando i dibattiti tra i vari candidati: tutti, praticamente, a volere le stesse cose; e ad accusare la controparte di non averle fatte o di non volerle fare. Nessuno, poi, che affrontasse il tema, centrale, e questo sì , profondamente divisivo, della guerra in Ucraina e dei suoi effetti collaterali nel nostro paese.

Qualsiasi state le sue motivazioni, questa disaffezione verso la democrazia dovrebbe essere da “allarme rosso”. Ma, statene certi, non sarà così. Per qualche giorno, lacrime da coccodrillo, deplorazioni pensose; sintetizzate con l’ennesimo richiamo del nostro Mattarella. Poi “business as usual”. 

Pure, questa disaffezione non è uguale per tutti. E, non a caso, colpisce la sinistra assai più che la destra. E non solo in Italia. Di qui a pensare che sia il prodotto di un disegno non c’è che un passo.

Per farlo, possiamo prendere le mosse da un rapporto sulla condizione della democrazia nel mondo, pubblicato sul “ Riformista”della settimana scorsa. Secondo questo rapporto, che dà ( seguito in questo, da altri, di diversa origine) la democrazia in declino in tutti i paesi , e da circa un decennio a questa parte, i due terzi della popolazione mondiale sarebbero governati da autocrazie, il 25% da democrazie illiberali e poco più del 10% da democrazie senza aggettivi.

Ora, e questo c’entra e come con le nostre elezioni, la distanza tra democrazie pure e semplici e democrazie con aggettivi “squalificativi”non è poi così grande. O, comunque. tende a diminuire. Perché se le democrazie illiberali portano chi ha vinto le elezioni, magari alterando, e non poco, le regole del gioco, a fare, praticamente, tutto, ma proprio tutto quello che vuole; nelle democrazie pure e semplici chi le ha vinte , non più, ancora, comportarsi allo stesso modo, ma è autorizzato a non tenere in minimo conto le opinioni diverse dalle sue, così come le loro concrete manifestazioni pubbliche.

E’ questo il caso della Germania che, assieme, ad altri paesi ( tra cui il nostro) , continua a fornire armi sempre più sofisticate a micidiali all’Ucraina, in nome di una vittoria finale, cui non crede e di un consenso interno, che non esiste. Ma è anche quello della Francia e della Gran Bretagna che di fronte ad una contestazione sociale senza precedenti e, in tutti i sensi, motivata, non fanno una piega, anzi si apprestano a misure repressive, in nome della superiore legittimità derivante dal successo elettorale.

In Italia, a giustificare lo scetticismo dell’elettorato basterà ricordare l’esito dei due grandi referendum sul progetto di riforma costituzionale e sull’acqua pubblica cui hanno fatto seguito una serie di provvedimenti tutti orientati in senso opposto: ulteriore rafforzamento delle prerogative dell’esecutivo a danno di quelle del parlamento e massiccio programma di privatizzazione dei servizi pubblici locali, peraltro già tali solo di nome. 

A pagare la fuga dal voto, peraltro, è particolarmente la sinistra. Oggi, forza di governo in appena 4 regioni su 19. Due del centro; due nel mezzogiorno. Nessuna nelle isole. Nessuna al Nord.

Si dirà, a sminuire il significato del verdetto di oggi, che, in assenza del voto di protesta e/o di opinione, ha prevalso, come accade sempre a livello regionale quello organizzato e quello che, senza offesa, possiamo definire clientelare. Ma ciò può giustificare il 65% della Lombardia, dove il centro/destra governa da sempre; ma non il suo nettissimo successo nel Lazio, dove il centro/sinistra ha governato per più di 30 anni su quaranta.

In ambedue i casi la sinistra che sia di governo che di protesta è molto sotto rispetto alle precedenti regionali ( un’altra epoca…); ma è anche, cosa ancora più preoccupante, sotto i livelli raggiunti appena qualche mese fa. In un contesto in cui un eventuale ma impossibile “campo largo” non raggiungerebbe il 40% in Lombardia e lo supererebbe di poco nel Lazio.

Segno, quest’ultimo che l’opposizione, e in particolare quella del Pd non ha pagato. In primo luogo perché non c’è stata; in secondo luogo, e soprattutto, perché quella che c’è stata era sbagliata.

Nulla sulla guerra e sulle sue ricadute. Di più, specie da parte del Pd accuse di scarso atlantismo e di ancora più scarso europeismo. Nella eterna e controproducente convinzione che a sistemare la faccenda per i buoni sarebbero intervenuti “quelli di fuori”. Una speranza magari fondata; ma elettoralmente assolutamente controproducente. Anche perché, la presenza di diversi orientamenti sulla guerra e sulla stessa leadership ucraina, ha probabilmente favorito la destra.

Nulla sulla questione sociale e istituzionale. Dove ha pesato non poco il fatto che al disastro costituzionale e istituzionale abbia contribuito in modo significato – e nell’arco di questi trent’anni- lo stesso Pd.

Questione morale, affidata ai deliri giustizialisti del Fatto Quotidiano. Mentre si accettava passivamente il fatto, francamente singolare, che al Parlamento europeo, corrotti fossero solo quelli di sinistra.

Rimaneva l’antifascismo. E l’appello al voto utile per contrastare il ritorno del nemico.

Ma qui si sbagliava bersaglio. Perché quello che si aveva di fronte non era altro che la nuova destra europea, patrocinata e guidata dai vertici del Ppe e intenzionata a sfruttare il clima tossico creato dalla guerra in Ucraina per regolare definitivamente i conti con la sinistra. 

E qui arriviamo a una contraddizione drammatica. Quella di un partito condannato a fare opposizione ma del tutto incapace di farla.

Una contraddizione cui se ne aggiunge un'altra. Tutta interna, questa, al nostro schieramento. Quello della presenza, nel nostro paese di una serie di protagonisti di lotte locali ma di respiro nazionale, per la pace, il lavoro, l’ambiente, la democrazia locale; ma privi, anche per loro naturale prevenzione, di un qualsiasi referente politico.

Si dirà, seguendo i dettami del credo liberista, che è l’offerta che crea la domanda. E che questa manca.

Noi ci limitiamo ad aggiungere sommessamente che il socialismo in Italia e altrove, è sorto per rispondere a una domanda. Allora le cose andarono in questo modo. Perché non oggi ?

di Alberto Benzoni

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