Giorgia l'esclusa: perché Macron la snobba

Non è l’Esclusa di Pirandello col dramma umano cocente di una donna, vittima del pregiudizio di provincia, che cerca il suo riscatto; non è una gaffe quella del presidente Macron che ha escluso dal vertice recente con Scholz e Zelensky la presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni; non è una dimenticanza, non è casuale. Il presidente francese ha agito in linea con un orientamento maturato negli ultimi mesi e costellato da alcuni momenti di evidente frizione con l’attuale governo italiano per varie ragioni, legate ad episodi precisi e non solo.
In primo luogo quello del rifiuto dell’Italia di fare sbarcare i migranti della Ocean King,accolti poi a Marsiglia dalla Francia che ha definito quello delle autorità italiane”comportamento irresponsabile e contrario ai principi di solidarietà europea”.Un segnale importante questo col richiamo ad un patto europeo (sia pure non chiaro ed efficace) che non si dovrebbe infrangere,ma al contrario rafforzare.
Inoltre, e ben più cruciale, la presenza nel governo Meloni della Lega di Salvini, partito anch’esso di destra estrema che, pur nelle sue acrobazie di una pretesa normalizzazione,non ha smesso i panni xenofobi che lo connotano ed è stato artefice ,nei precedenti governi, prima di quello con Draghi, dei decreti sicurezza fondati sul principio di esclusione e di criminalizzazione dei migranti, del “diverso” che turberebbe le virtù nostrane e l’ordine italico.
E ancora gli alleati europei ed i riferimenti di Giorgia Meloni sono certamente poco rassicuranti, rispetto al suo improvviso e sbandierato europeismo; basti pensare ad Orban o al partito spagnolo Vox di destra estrema.
Da ultimo la Meloni si richiama al gruppo Visegrad, formato da Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia,che ha al suo interno posizioni atlantiste,ma in buona parte euroscettiche, costituito soprattutto con un chiaro scopo anti migranti nel quale le spinte sovraniste sono consistenti e quindi spesso reciprocamente escludentisi quando si tratta di strategie comuni e di adesione a progetti comunitari. Se guardiamo poi alle politiche degli ultimi anni del gruppo Visegrad notiamo che i paesi ad esso aderenti hanno avuto, ed alcuni tutt’ora hanno, al governo partiti di estrema destra o ad essa legati, cosa che ne determina una precisa fisionomia e che ha quindi comportato rapporti spesso tesi e contraddittori con gli organismi della UE soprattutto sulla questione dei migranti e quella del non rispetto all’interno dei diritti umani. Una situazione complicata dunque, impigliata in una tela di contraddizioni che segnano gravemente la Unione Europea.
Giorgia Meloni dunque non ha le carte in regola, al di là delle sue insistite dichiarazioni pro Europa, per essere un interlocutore a pieno titolo nelle delicate strategie di relazioni dentro l’Europa che Francia e Germania conducono con un indubbio ruolo di primato e di inziative costanti e che Macron in primo luogo ha promosso in questi anni.
Le relazioni fra Stati del resto non si svolgono nel vuoto e, pur mantenendo gli inevitabili rapporti che la diplomazia impone, si nutrono dell’apporto di uomini e donne che in posizioni apicali rappresentano e dirigono i vari paesi.
Ora non v’è dubbio che una personalità come Draghi per varie ragioni di prestigio e visibilità internazionali ha tessuto col suo governo rapporti stabili e rassicuranti con la UE che avevano situato l’Italia in una posizione di paese “de rang”. Ora l’effetto Draghi è finito ed è finito altresì l’effetto alone che immediatamente ne era derivato; non è riuscito cioè il processo di istituzionalizzazione che il passaggio pedagogico delle consegne dal governo Draghi alla Meloni si prefiggeva probabilmente di realizzare. Insomma similmente a ciò che avviene col potere carismatico in genere,che difficilmente si istituzionalizza, tranne nei casi in cui una personalità eccezionale (il caso De Gaulle ne è un esempio) ne sia il protagonista.
Giorgia Meloni per un po’ ha tentato di camminare sulle tracce di Draghi, cercando nel sentiero le pepite d’oro che potessero accompagnare il suo governo, ma non ne ha fatto buon uso, a giudicare sia dai continui scivoloni in tema di politica interna con provvedimenti frettolosamente emanati e altrettanto velocemente spesso disdetti, sia dalla sua confusa postura in politica estera, mal cucita a caso, cercando di destreggiarsi o di vestire come ora i panni della vittima, chissà di quali complotti. La politica estera di un governo è lo specchio di tutto, come ben sappiamo, una specie di specchio della verità. Guai a sbagliarla.
Per finire, l’ambiguità mai smessa che da ciò deriva, la autocelebrazione di successi che di continuo la premier sciorina, dove l’enunciazione vale più dell’enunciato secondo lo stile di una retorica degradata e quindi mendace.
Sara Gentile
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