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Craxi socialista, senza aggettivi

Pubblicato: 06-02-2023
Rubrica: Dibattiti
Craxi socialista, senza aggettivi

L’ultimo articolo di Alberto Benzoni dedicato in particolare alla “stomachevole” operazione di collocare Bettino Craxi tra i testimonial storici della destra italiana mi ha spinto a riprendere il testo di un intervento che lo stesso Bettino Craxi avrebbe potuto tenere a Hammamet il 19 gennaio 2020, se non fosse morto vent’anni prima.

Intervento scritto insieme ad Alberto Benzoni perché già in quell’occasione la celebrazione prese una strana piega.

Dicevamo: “Sono felice di vedervi in tanti intorno a me nel ventesimo anniversario della mia morte. Per me, il vostro affetto è necessario come l’aria che respiro. Anche se, in vita, sono stato troppo timido per chiedervelo apertamente; così da acquisire la fama di orso e per giunta arrogante. Non vorrei però che la vostra visita fosse vista come una specie di pellegrinaggio politico di fedelissimi; finalizzato a rendere omaggio alla mia persona e non alle mie idee e/o al mio progetto politico. E ancor meno alla mia visione del socialismo.”

E ancora: “Obiettivo del nostro incontro, che si svolga ad Hammamet, non è di rimestare sul passato o di rendere omaggio ad una vittima. Qui non è in discussione il passato ma il futuro. Non la sorte subita dal sottoscritto ma la vostra. E precisamente e semplicemente il futuro dell’idea socialista e di quelli che la difendono nel nostro paese; come anche di quella prima repubblica che ho difesa sino all’ultimo, sino a diventare capro espiatorio di tutte le sue manchevolezze, agli occhi di coloro che volevano eliminare, con l’acqua sporca, anche il bambino.

Personalmente, vedete, ascrivo a mio merito quella che è stata anche causa non ultima della mia rovina: la capacità dolorosa di dire la verità e percepire il falso - che fosse nella cultura politica dominante, nelle prese di posizione politiche o nei dettami dei media- e di denunciarlo per nome, cognome e indirizzo. Così avevo fatto ai tempi della Prima repubblica; così mi comportai negli anni della “falsa rivoluzione” di Mani pulite. Denunciandone, da solo, la reale natura di destra: e quindi contro il “ruolo” della politica, dei partiti e dello stato. E annunciando, contestualmente, che questa falsa rivoluzione sarebbe stata foriera di disastri negli anni a venire. Fino al punto di distruggere, per almeno una generazione non solo i socialisti; ma la cultura e le istituzioni del socialismo.

Avrei dovuto, soprattutto dopo il mio discorso del luglio 1993, battermi contro questa deriva. Ma non mi è stato consentito. E non l’avete fatto neanche voi, a partire dalla scelta di adeguarvi alla Seconda repubblica, alle sue idee e alle sue regole: ciò che vi ha reso progressivamente dipendenti da coloro che vi garantivano l’esistenza in vita ma non più di questo.”

Craxi concluse il suo intervento postumo con un’affermazione perentoria: “Solo un grande partito socialista può rappresentare la sinistra.”

E aveva ragione, perché già allora nel 2020, ed ancora di più oggi, la sinistra era ed è al suo minimo storico. E non ha alcun partito di riferimento che possa rappresentare concretamente un’alternativa alla destra.

Peggio, ci troviamo di fronte ad un Pd alle prese con la sua crisi più grave, piegato su sé stesso, che parla solo di sé stesso. Ancora baloccato, diviso tra la voglia di scimmiottare il modello di partito americano e la tentazione di ritornare alla vecchia “ditta” post comunista. Due visioni che convivono da anni e che sono state la causa principale del suo declino morale.

Un partito che governa ininterrottamente da trent’anni, assimilando ciò che in passato era tipicamente democristiano. Misurati nel linguaggio, all’insegna del più noioso ed inutile moderatismo, molte parole e pochi fatti, con l’obiettivo di governare al centro.

E così il rapido passaggio dal comunismo alla Seconda repubblica ha portato quel partito a riconoscersi nella cultura liberista, tradendo i valori tradizionali della sinistra. Con la conseguente disattenzione nei confronti del ruolo fondamentale dello Stato, porte aperte alla cultura del mercato.

Finendo là dove sono oggi, percepiti come un partito di sistema, interpreti degli interessi capitalistici privati nazionali e internazionali, quelli che l’ulivismo ha ricoperto di vantaggi incalcolabili.

Dalla privatizzazione dell’economia alla distruzione dell’industria di Stato.

Consentendo che si indebolissero le istituzioni (l’ambiguità sul presidenzialismo fino alla complicità con la destra sull’autonomia differenziata), il valore della rappresentanza (nessuna battaglia contro la riduzione dei parlamentari) e la partecipazione popolare ridotta a pura enunciazione. Fino a compromettere i principi democratici e i diritti dei lavoratori (compresa la sciagurata operazione del jobs act). Nessun disegno strategico sulla necessità di una grande riforma istituzionale, che pure i socialisti invocano da alcuni decenni e nello stesso tempo un partito piegato sul più banale giustizialismo.

Ci siamo ritrovati così in uno dei pochi paesi occidentali in cui la sinistra ha rinnegato il socialismo, la sua storia e le sue conquiste.

E dopo trent’anni di depoliticizzazione ed deideologizzazione, senza forze antagoniste, senza forze fra loro alternative il paese è piegato, “incazzato” ma incapace di reagire. Tanta rabbia senza ribellione, uguale a tanta rabbia e rassegnazione.

In assoluta controtendenza con il bisogno vitale, quanto necessario, di avere, per rispondere al rafforzamento della destra, un grande partito socialista, per rappresentare i bisogni delle persone, dei ceti sociali in difficoltà, il mondo del lavoro e della cultura, oggi senza rappresentanza. Insieme al bisogno di una forza di sinistra per rilanciare una politica pubblica, una politica industriale e la programmazione dello sviluppo.

Ma ritorniamo a noi e a Craxi.

Anche quell’anno, in occasione del ventesimo anniversario della morte, cosi come quest’anno nel ventitreesimo,  il Pd perse occasione di fare i conti con lui e con la grande tradizione del socialismo italiano.

Perse l’occasione di riconoscere a Craxi di essere stato un grande leader della sinistra internazionale e di essere stato ucciso perché era socialista.

Socialista senza aggettivi. E al di là degli errori, soprattutto quelli che molti di noi della sinistra socialista gli imputavano, non sulla strategia (se ci fosse stata una vera divergenza di strategia avremmo dovuto lasciare il partito), ma sulla gestione del partito stesso, quel partito che spesso, libero di gestire anche in modo disinvolto il potere, all’interno del sistema craxiano, rappresentò quella debolezza che al momento della crisi non fece argine agli attacchi politici e giudiziari.

Il “craxismo”. Il “craxismo” dei piani alti, della grande politica revisionista condotta da Bettino Craxi, e il “craxismo” dei piani bassi, compreso lo stare al governo contro i comunisti, non perché erano di sinistra, ma perché erano comunisti. Ed alla fine il “craxismo” di stare a metà, fra la Dc ed il Pci. Fino alla fase finale del 1993/94 quando il popolo del “craxismo” non fu in grado di reagire perché nel frattempo erano venuti a maturazione due contraddizioni. Da un lato Craxi, l’uomo del “vecchio partito socialista”, quello che gli consentiva di esercitare tutto il suo potere carismatico, dall’altro un partito “liquido” in basso. Quel partito “liquido” che si dimostrò purtroppo tanto opportunista nella fase di ascesa, quanto trasformista nella fase della sua caduta.

Incapace di difendere il socialismo, contro l’antisocialismo di destra e di sinistra. E comunque, dentro questa contraddizione, lui tirava dritto.

Craxi socialista fino in fondo che ha dedicato una vita alla costruzione di una società sempre più socialista, contro la destra conservatrice e reazionaria e una sinistra attardata sulle glorie del comunismo internazionale.

L’esatto contrario di ciò che si vorrebbe far passare oggi. Craxi da inserire nel “variegato Panthenon della Meloni” e di conseguenza di tutta la destra, Lega e Forza Italia comprese. Purtroppo con la complicità di Stefania Craxi, che da anni, forse incoscientemente, ha fatto prevalere di Craxi la figura dello statista italiano, cancellando di fatto la forza, il peso e il valore della sua azione socialista.

Anche chi non è stato mai “craxiano” quando Craxi era in vita, come alcuni di noi, sa bene cosa ha rappresentato Craxi per il socialismo nazionale e internazionale e avrebbe il dovere di tenere alto questo aspetto fondamentale della sua storia.

Craxi socialista, senza aggettivi. Craxi socialista internazionalista e di sinistra, sempre dalla parte della difesa dei popoli oppressi, delle minoranze, contro le destre fasciste e i golpe militari, anche quando con coraggio non stava dalla parte del pensiero prevalente.

Craxi con Allende prima e con il popolo cileno dopo. Craxi dalla parte dei socialisti spagnoli in esilio ai tempi di Franco, così come dalla parte della sinistra greca nel periodo della dittatura dei “colonnelli”. Craxi per la liberazione della Palestina.

Craxi contro l’intervento militare sovietico in Ungheria e Cecoslovacchia.

Craxi di Sigonella, atlantici sì ma non supini alla logica della super potenza americana.

Craxi nel solco della storia tradizionale socialista, tessitore e messaggero di pace, in tutto il mondo, consapevole che la sola via diplomatica, e non le armi, avrebbero potuto garantire la convivenza tra i popoli.

Craxi, che su altri versanti, quelli della giustizia sociale, dell’uguaglianza e della libertà conosceva bene il valore e l’importanza di difendere, in primo luogo, il potere di acquisto dei salari e delle pensioni, per puntare al loro continuo adeguamento.

Socialista di sinistra, anche se non gli è stato mai del tutto riconosciuto,  sapeva bene quanto fosse importante costruire nuove opportunità di lavoro e di studio per tutti, ponendosi il problema di come far crescere la ricchezza, per combattere le peggiori condizioni di povertà e solitudine che affliggevano già allora larghi strati della popolazione. In Italia e nel mondo.

Craxi che credeva in modo assoluto nel ruolo fondamentale dello Stato e delle politiche pubbliche, che sapeva guardare con lungimiranza al futuro, cercando di frenare sempre ogni politica che avrebbe potuto consegnare il paese alla destra.

Altro che Craxi di destra.

Di fronte a questa perversa interpretazione della storia i socialisti devono fare quadrato ed anche oggi che si apre la questione tutta politica sul presidenzialismo evitiamo la semplificazione che sia stato Craxi ad aprire questo capitolo. Craxi fu il primo a parlare di grande riforma, di fronte alla crisi di sistema, apertasi con evidenza dopo la morte di Aldo Moro. Cercando di valorizzare il ruolo del Parlamento di fronte alla “necessità di un bilancio e di una verifica storica ormai fortemente sentita”. Anzi le sue parole sul presidenzialismo erano intrise di grandissimo scetticismo: “il presidenzialismo può essere considerato come una superficiale fuga verso una ipotetica provvidenza, ma l’immobilismo è ormai diventato dannoso“.

Una grande riforma. “Una revisione ampia che doveva riguardare il Parlamento, il Governo, i partiti, la pubblica amministrazione e l’economia”. E ancora diceva Craxi: “Si tratta di aumentare l’influenza dei lavoratori nella vita produttiva per ricevere l’impulso positivo di una partecipazione responsabile e non per aumentare il peso dei controlli paralizzanti”. E di fronte alla crisi di sistema diceva Craxi “Si sente un grande bisogno di ristabilire una nobiltà della politica… La classe politica deve riconquistare autorevolezza e credito principalmente di fronte alle nuove generazioni”. Altro che presidenzialismo con la variabile minimalista del “Primo cittadino di Italia” eletto direttamente dal popolo, dopo l’esperienza nefasta, sul piano politico e democratico, dell’elezione diretta dei sindaci (piccoli podestà) e dei presidenti di Regione (cosiddetti governatori).

Certo errori ne sono stati compiuti, e chi in politica non li ha compiuti?

Ma intorno alla figura di Bettino Craxi occorre ancora una operazione verità.

Roberto Biscardini

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