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Premeriato e altre deforme, la montagna ha partorito il topolino

Pubblicato: 07-01-2024
Rubrica: Dibattiti
Premeriato e altre deforme, la montagna ha partorito il topolino

Questo è l'ultimo articolo che Felice Besostri ha scritto per la Critica Sociale: è stato pubblicato nel numero 5, novembre/dicembre 2023, in distribuzione da metà dicembre. Da oggi la sua salma in esposizione nella camera ardente allestita presso le Onoranze Funebri "Turati" a Milano, in via Riccardo Bauer, 19, zona Niguarda.

La maggioranza di destra centro a guida Meloni ha vinto le elezioni del 25 settembre 2022 con una maggioranza di seggi, 352/600, il 58,66% degli elettivi del Parlamento in seduta comune, che ha surclassato quella di Berlusconi del 2008, pur avendo il defunto cavaliere un consenso popolare, in valori assoluti e percentuali, molto più consistente, cioè 17.403.135 voti (+ 5.098.121), il 46,81% (+3,02%), con una partecipazione del 80,63% (+16,73%) ma appena 518/945 seggi, cioè il 54,81% (-3,85%).

Se Amleto, invece di essere un principe danese, fosse stato un politologo, famoso come Sartori, sarebbe diventato celebre con la frase “C’è qualcosa di marcio in quella Danimarca del Sud Europa, che si chiama Italia!”.

Quella maggioranza, o almeno la sua leader – che bello non dover scegliere il genere in inglese - prima delle elezioni aveva in programma un cambio epocale  della forma di governo parlamentare, scelta dalla Costituzione italiana, figlia della Liberazione e del “Vento del Nord”, che aveva spazzato via la Monarchia, complice del fascismo, con una forma di governo Presidenziale, vecchia proposta del MSI di Almirante, ma anche di un repubblicano come Pacciardi, già combattente antifranchista/fascista nella guerra civile spagnola.

Parliamoci chiaro il Presidenzialismo è una forma di governo democratica, che rispetta la rappresentanza del popolo, che elegge direttamente il Presidente e i suoi rappresentati nel Parlamento e la divisione dei poteri.

Tra i costituenti, molti padri e poche madri, italiani c’erano, in netta minoranza dei presidenzialisti, come Piero Calamandrei, uno dei fondatori del Partito d’Azione, che per le sue radici rosselliane rappresenta uno dei filoni del democraticamente rispettabilissimo liberalsocialismo.

Nella XVIII Legislatura Fratelli d’Italia con prime firme Meloni e Rampelli presentò il suo ddl costituzionale “Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l'elezione diretta del Presidente della Repubblica“ (A.C. 716) assolutamente tranquillizzante, anche se appariva più una forma di governo semipresidenziale, poiché l’organo esecutivo al vertice era bicefalo con un Presidente della Repubblica e un Primo Ministro.

Le prerogative del Parlamento non erano minimante intaccate, anzi, a mio avviso rafforzate, in quanto teoricamente era possibile una coabitazione, come in Francia, con una maggioranza presidenziale distinta da quella parlamentare in caso di sfiducia al governo in carica o di nuove elezioni: unico limite alla sfiducia di un governo in carica era la cosiddetta “sfiducia costruttiva”, cioè l’indicazione obbligatoria e vincolante del nome del successore. Si tratta di un istituto tipico della Germania federale, uno Stato con forma di Governo parlamentare, in cui dominante, ma non in danno del Parlamento bicamerale, è la figura del Kanzler, anzi con la sfiducia il Parlamento, non corre il rischio di essere umiliato da un Presidente della Repubblica decisionista, che può imporre un Governo, che definire tecnico è riduttivo, come sono stati i Governi Monti e ancora più Draghi, quest’ultimo politicamente legittimato da un’ampia e forsanche eccessiva maggioranza parlamentare e da un consenso sovranazionale/transfrontaliero, la cui crisi  non ha rimesso al centro il Parlamento e i gruppi parlamentari, espressione dei partiti, se non della loro impotenza, ma il Presidente della Repubblica che ha sciolto le Camere non curandosi di una legge elettorale, da lui promulgata, benché chiaramente in contrasto con i principi in materia elettorale enunciati in sentenze della Corte Costituzionale  a partire dalla n. 16/2008, di cui ha fatto parte nel periodo 2011-2015, mi riferisco alla sentenza n. 1/2014, di cui la sentenza n. 35/2017 è stata un’estensione, ma anche alla n. 13/2012. D’altronde aveva promulgato senza battere ciglio la legge elettorale n. 52/2015, talmente incostituzionale da essere stata annullata prima ancora di essere mai stata applicata, approvata con tre voti di fiducia a richiesta del Governo Renzi ammessi, contro la lettera dell’art. 72 c. 4 Cost., dalla Presidente Boldrini, la terza donna chiamata a presiederla, malgrado il motivato Lodo Iotti del 1981 della ben più autorevole donna, chiamata a presiederla (1979-1992) , la compagna on. Nilde Iotti.

Le leggi elettorali approvate con voto di fiducia sono sempre sta inquietanti nella storia delle istituzioni del nostro Paese, la cosiddetta “Legge Truffa”, la n. 148/1953, trent’anni dopo la legge Acerbo, la n. 2444/1923. La legge Acerbo, un nazionalista, fu approvata da una Camera con appena 35 deputati fascisti, con cui si svolsero le elezioni dl 1924, quelle che diedero l’avvio al regime fascista con l’approvazione della legge 24 dicembre 1925, n. 2263, quella che istituì vigente lo Statuto Albertino, che non la prevedeva, la carica di Capo del Governo Primo Ministro (durante il fascismo le parole straniere erano fuori legge altrimenti sarebbe stato Premier). Se la storia si ripete, la prima volta come tragedia e la seconda come farsa, non dobbiamo farci impressionare dalle coincidenze. La legge Acerbo è stata approvata da una Camera di 535 membri in cui i fascisti avevano appena il 6,54% dei seggi, il Rosatellum, con 8 voti di fiducia (3 alla Camera e 5 al Senato, grazie al precedente Boldrini in una Camera di 630 con Fratelli d’Italia al 1,96% e 9 seggi. Il Rosatellum è stato poi peggiorato nella XVIII Legislatura, in senso maggioritario alla Camera dei deputati per la sola Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e nel complesso del Senato con i criteri di arrotondamento tra i 3/8 di seggi maggioritari, rispetto ai 5/8 proporzionali con la legge n. 51/2019 e le sue distorsioni tra “voti in entrata” e “seggi in uscita” amplificate dall’eccessiva riduzione media del 36,50% dei Parlamentari della legge cost. n.1/2020 in una Camera in cui i Fratelli d’Italia erano cresciuti, con un’affluenza del 72,94%, al 4,33%, salito al   6, 44 % (finalmente una percentuale pari a quella del PNF 1921) l’anno dopo alle europee del 2019 ma con un’affluenza del 54,50% (-18,44%) e 1.726.189 voti, rispetto ai 1.421.109 con un incremento in valori assoluti di 305.080 voti.

Nel 2022 la vittoria di  Fratelli d’Italia è indiscutibile passa a 7.301.303 voti e al 25,98% con un’affluenza del 63,91%, che scende al 58,04% se calcoliamo solo i voti validi, quindi senza voti nulli e schede bianche, delle circoscrizioni, Italia, Valle d’Aosta e Estero della Camera dei Deputati, tuttavia questo successo non giustifica i seggi ottenuti in più se non grazie alle incostituzionalità della legge elettore vigente, che non rispetta il voto libero e personale dell’elettore nell’attribuzione dei seggi uninominali maggioritari, con la nullità del voto disgiunto e quindi l’uguaglianza del voto conteggiando  per l’elezione dei 3/8 dei seggi uninominali i voti dati anche solo alle liste bloccate proporzionali e senza nemmeno scorporare dalla parte proporzionale i seggi conquistati grazie ai soli voti proporzionali, con tale sistema sono stati proclamati eletti candidati che hanno ricevuto meno voti personali individuali del secondo e a volte giunti in terza posizione, per arrivare al caso paradossale di una senatrice del M5S eletta con 0 voti personali individuali, salvata ad personam, in quanto membro di un importante organismo.

Il vertice delle manipolazioni della volontà dell’elettore, per salvaguardarne la “coerenza”, in luogo della sua libertà di scelta personale, si verifica, quando vota solamente per un candidato uninominali maggioritario proposta da una coalizione.  Il suo voto non viene ripartito tra le liste coalizzate in eguale percentuale (in fin dei conti chi non vota le liste bloccate, significa che gli sono indifferenti o addirittura che non gradisce, nessuno dei capilista. Ebbene il suo voto viene ripartito tra le liste in base alla percentuale dei voti raccolti nella circoscrizione, dagli elettori che le hanno votate, quini con violazione del voto libero e personale previsto dall’art. 48 c. 2 Cos., ma anche del voto diretto degli artt. 56.1 (Camera) e 58.1 (Senato) della Costituzione.

L’attuale maggioranza se si applica la Costituzione, perderebbe la maggioranza al Senato dagli attuali 115/205 a 89/205, conserverebbe la maggioranza alla Camera, perché perderebbe solo 17 seggi uninominali ma passerebbe da 237 a 220 su 400, comunque il 55% dei seggi, quelli che bisogna assicurare, comunque, al Capo del Governo Primo Ministro eletto dal popolo, quale che sia la percentuale del voto al candidato e alle liste collegate, in violazione delle sentenze costituzionali nn. 15 e 16/2008, 13/2012 e 1/2014, e, a mio avviso, alla percentuale dei votanti, per dare una risposta in positivo all’astensionismo crescente: alle elezioni regionali 2023 di Lazio e Lombardia, dove vive il 25% della popolazione italiana le astensioni hanno raggiunto il 60%.

Senza questa legge elettorale che FdI è l’unica forza che non l’ha mai votata a differenza di Lega e Forza Italia e del M5S, che da feroce oppositore ne ha fatto la legge del taglio dei parlamentari, non ci sarebbe né l’Autonomia Differenziata, la legge “Scassaitalia” per chiamarla col suo nome, né l’elezione diretta del Capo del Governo, che dipendono l’una dall’altra, mentre l’elezione popolare del Presidente della Repubblica del progetto Meloni, aveva tra i suoi obiettivi di garantire l’unità  della Nazione italiana, anche in caso di trasformazione federale.

La Presidente del Consiglio dei ministri Meloni e la signora Ministro Casellati per assumere le funzioni hanno prestato nelle mani del Presidente della Repubblica il giuramento previsto dall’art. 93 Cost. nella solenne formula prevista dall’ art. 1 c. 3 della legge n. 400/1988[1], quindi va tolto dal ddl cost. ogni riferimento alla legge elettorale del Parlamento come è scomparso l’assurdo riferimento ad una scheda elettorale unica, al limite si prenda dal testo Meloni il metodo di elezione previsto per il Presidente della Repubblica, cioè la maggioranza assoluta dei votanti, altrimenti ballottaggio o nuove candidature se al primo turno non avessero partecipato almeno il 50% degli aventi diritto. Se ad un’elezione importante con più candidati non partecipa almeno la metà del corpo elettore significa che sono sbagliati.

L'elezione diretta del Capo del Governo Primo Ministro (cominciamo a mettere in soffitta le parole Premier e Premierato non sono in Costituzione e nel ddl cost. Casellati) non è la questione principale e neppure la più importante, a mio avviso, ci sono elezioni popolari dirette di Capi dello Stato in democrazie rappresentative con forma di Governo parlamentare, ma se il Presidente del Consiglio dei ministri, grazie a una legge elettorale controlla la maggioranza assoluta delle due Camere e del Parlamento in seduta comune, anche se non rappresenta la maggioranza assoluta del  corpo elettorale con una partecipazione almeno pari al 50% +1 degli aventi diritto,  non può entrare in carica, a meno che non si cambino contestualmente gli articoli 90 (messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica e 83 Cost., superando elezione del Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune + 58 delegati regionali e 5 senatori a vita, ma prevedendo un’assemblea presidenziale sul modello tedesco.

Anche con i ddl cost. Renzi e Ceccanti, meglio redatti, non si evita che il  PdCM sia la figura più importante tra gli organi al vertice del nostro ordinamento costituzionale che esautora il Parlamento con i decreti legge e i voti di fiducia a raffica e indebolisce la funzione del Presidente della Repubblica, che è suo ostaggio ovvero un suo burattino (se uomo) o una sua marionetta (se donna) e che a regime insieme determinano la composizione dei 2/3 della Corte costituzionale, che cesserebbe di essere organo di garanzia costituzionale delle leggi. Una legge elettorale costituzionale, anche mista, è la condizione minima per la sopravvivenza della democrazia.

Dal 2005 il popolo è stato espropriato del diritto di voto, cioè del diritto di scegliere i propri rappresentanti, membri del Parlamento senza vincoli di mandato che rappresentino la Nazione, cioè il popolo cui appartiene la sovranità e che la deve esercitare nelle forme e nei limiti della Costituzione.

La grande riforma presidenziale è una classica montagna, che ha partorito un topolino, l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, che non va sottovalutato, perché frustrato e rancoroso e che non ha fatto i conti col passato di una fiamma, che arde tuttora, simbolo di una nostalgia revanscista.

Felice Besostri

 


 

 

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