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S'avanza il fascismo 2.0

Pubblicato: 26-04-2023
Rubrica: Dibattiti
S'avanza il fascismo 2.0

L’immarcescibile (per usare un aggettivo molto in voga durante il ventennio) La Russa, per inciso seconda carica istituzionale della Repubblica, ha detto, giorni fa, che la nostra Costituzione non si fonda sull’antifascismo. Sollevando le reazioni più diverse, all’esterno ma anche all’interno della coalizione di governo e nel suo stesso partito; ma, nel complesso, abbastanza deboli. O, più esattamente, impari rispetto alla sfida. Così come lo è, per completare il quadro, il problema che si sono posti gli esponenti della maggioranza di governo in merito alla loro presenza nelle celebrazioni del 25 aprile e l’atteggiamento che, in proposito, ha assunto l’opposizione.

Oggi, il 25 aprile è una festa nazionale. Sta dunque a tutti, e in particolare ai rappresentanti delle istituzioni, celebrarla nel modo dovuto e realizzare i suoi dettami, istituzionali e programmatici. Liberi, tutti, di parteciparvi; oppure no.

Sta; o meglio, starebbe. Perché La Russa ha, purtroppo, ragione. E ha ragione perché la Costituzione, materiale ma anche formale e lo stesso “senso comune” della Seconda repubblica si basano sulla contestazione radicale della Prima; fino a considerare la contrapposizione fascismo/antifascismo un relitto fastidioso del passato. E i sacerdoti del 25 aprile zeloti di un culto che non ha più ragion d’essere.

Zero a zero e palla al centro? Purtroppo, non siamo in una situazione del genere. Personalmente, spero di poter arrivare ad assistere a una situazione in cui il 25 aprile non sia una chiamata alle armi contro questa o quella nuova minaccia ma la versione italiana del 14 luglio; diventata festa cui partecipare più che ricorrenza da celebrare. Ma non ci credo. Perché quello cui stiamo assistendo da parte della maggioranza (vedi attacchi ingenerosi e volgari rivolti a Fini dai suoi ex camerati) somiglia molto a una chiamata alle armi, in vista di una prossima e, nelle intenzioni, definitiva rivincita.

Non avremo di fronte a noi i “ragazzi di Salò”, ecumenicamente abbracciati da Violante, in corrispondenza delle dichiarazioni di Fini sulle superiori ragioni dei protagonisti del 25 aprile. Così come i, tutto sommato innocui, nostalgici delle aquile, dei colli fatali, dei treni che arrivavano in orario e del saluto romano. E nemmeno i protagonisti occulti delle trame nere e della strategia della tensione.

Nessun omicida e distributore di olio di ricino. Nessuna milizia armata a incendiare sedi di leghe, di sindacati o di partiti. Nessun bisogno di tornare a un’epoca in cui la “borghesia liberale” aveva bisogno della distruzione violenta del Nemico per essere rassicurata.

Al loro posto “lorsignori”, uno stato etico, sintesi di liberismo e di repressione e un contesto interno e internazionale in cui chi dissente è automaticamente messo al bando. Nel migliore dei casi come contestatore irresponsabile dell’ordine costituito e nel peggiore come complice “oggettivo” del Nemico.

E’ questo il “Fascismo 2.0”. Un regresso e una reazione, formalmente “soft”. In cui la destra, liberista ma non liberale, elimina il cordone sanitario che la separava, dalla seconda guerra mondiale in poi, da quella reazionaria e postfascista; per crearne uno nuovo contro un “comunismo” del tutto immaginario o quello che rimane della sinistra. In un mondo costruito da un numero sempre maggiore di tabù, leggi di parole che non si possono dire, di conflitti che non si possono aprire e di argomenti che non si possono affrontare.

In questo, l’Italia non è che una variante di un processo in atto sul piano internazionale. In questo caso, in piena corrispondenza con il ritorno di una guerra fredda che, a differenza della precedente, affida al potere “hard” degli Stati Uniti e dell’occidente, la gestione di una sfida che non è più in grado di gestire con quello “soft”.

In questo clima tossico tutte le istituzioni sembrano aver perso la loro ragion d’essere e la loro stessa anima.

Così l’Europa delle regole ma anche dei diritti, delle libertà e della pace (così la vedevano i giovani in un grande sondaggio circa dieci anni fa) è scomparsa, sostituita da una confederazione rissosa di stati, in cui a dettare la linea sono agenti esterni (Stati Uniti, Nato) e gli ultimi arrivati (Polonia, paesi baltici) e la cultura della guerra sembra far premio su qualsiasi altra. Mentre è, dappertutto, all’ordine del giorno la costruzione di muri.

Così i paesi scandinavi si affrettano ad abbandonare la posizione e la cultura della neutralità. Aumentando l’insicurezza di tutti.

Così sta cadendo, dalla Finlandia sino alla Spagna, il muro che separava la destra liberale da quella postfascista, oggi partner a pieno titolo di coalizioni di governo o, come in Francia, tendenzialmente maggioritaria nel paese. Mentre molti governi in carica, forti della legittimità conquistata nelle urne, non tengono nel minimo conto, se non puntano a reprimere le grandi manifestazioni di protesta all’ordine del giorno nel loro paese. In un contesto in cui i più deboli pagano e pagheranno per intero i prezzi della guerra, della recessione e della fuoruscita dal debito.

Così, in definitiva, il Fascismo 2.0 si sta trasformando da anomalia italiana in destino europeo.

E qui non vale opporsi localmente. E su questa o quella questione. Se la posta è globale, la risposta deve essere globale. E su temi globali come la guerra e i suoi effetti collaterali nel mondo e nella vita quotidiana delle persone. Per assumere la natura, non dell’opposizione ma della contestazione.

Non stiamo combattendo il fascismo del passato. Stiamo contestando quello del presente e del futuro. E dobbiamo farlo. Perché, se non lo facciamo, se affidiamo ai complici del disastro (leggi Pd) o a quello che resta della sinistra radicale, in Italia e in Europa, la responsabilità di rappresentarci e di difenderci, saremo travolti dal ciclo protesta/repressione, mentre la stessa guerra sfuggirà di mano agli apprendisti stregoni che si illudono di gestirla.

Noi chi, mi direte. Noi tutti. Allo stato è una risposta onesta. Ma anche l’unica possibile.

Alberto Benzoni

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