Critica Sociale - Portale della Rivista storica del socialismo fondata da Filippo Turati nel 1891
Critica Sociale ha ottenuto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica

Culle vuote, l'ingenuo sogno del riequilibrio demografico

Pubblicato: 21-04-2023
Rubrica: Dibattiti
Culle vuote, l'ingenuo sogno del riequilibrio demografico

       Le chiacchiere sulla crisi demografica italiana, che diventano perfino proposte di legge, si susseguono ogni giorno. Pare proprio che il noto avvertimento di Alessandro Manzoni circa il buon senso messo in un angolo dal senso comune sia più che mai d’attualità. Non occorre, infatti, essere demografi o ginecologi per rendersi conto che gli squilibri della piramide della popolazione in Italia, più che in altri paesi europei, sono, allo stato effettuale delle cose, irreversibili. Basta il buon senso, una roba che dovrebbe suggerire che, purtroppo, il buon Dio si intestardisce nel pretendere di delegare solo esclusivamente alle giovani donne il compito di mettere al mondo dei figli, spargendo per il mondo un virus chiamato menopausa.

     Ovviamente si scherza, ma fino a un certo punto. A dettare certe affermazioni, vecchio stile, sulla demografia e sulla famiglia è forse la cattiva fede o forse l’ignoranza, innanzitutto storica. Al momento dell’Unità d’Italia i tassi di natalità (ovvero la percentuale delle nuove culle sul totale della popolazione) si aggiravano intorno al 40‰. Di lì a un paio di decenni iniziò un processo di costante, sebbene lenta, decrescita dovuta, tra l’altro ai processi di urbanizzazione. Arriviamo così agli inizi degli anni Venti del Novecento. La natalità generale rimaneva, rispetto ai grandi paesi europei, ancora alta. Era, infatti, intorno al 30‰, ma tutto annunciava un’accelerazione della tendenza a un’ulteriore diminuzione.  Per fortuna il 26 maggio del 1927 in un celebre discorso, detto dell’Ascensione, Mussolini, proclamò: ‹‹L’Italia, per contare qualcosa, deve affacciarsi sulla soglia della seconda metà di questo secolo con una popolazione non inferiore di 60 milioni di abitanti.  Tutte le Nazioni e tutti gli imperi hanno sentito il morso della loro decadenza, quando hanno visto diminuire il numero delle nascite››. Infatti, nel 1940 la natalità si portò al 23‰.  Propaganda e politiche di incoraggiamento a donare più figli alla patria, evidentemente, non avevano avuto successo. Chissà perché!

   Ma torniamo ai giorni nostri, al buon senso e al virus della menopausa, per dare alcuni numeri incontrovertibili. Le donne tra i 15 e i 49 anni rappresentano il 39,9% della popolazione femminile. Da aggiungere che per fortuna e per civiltà le adolescenti assai raramente mettono al mondo dei figli. Il tempo dell’ancien règime, quando non era raro imbattersi lungo le strade europee in contadine poco più che bambine con il pancione è finito e non ripetibile. Nessun incentivo potrà mai sovvertire dati legati profondamente alla cultura e alla cosiddetta mentalità. Non potrà mai accadere che nel XXI secolo una donna possa accettare l’incivile proposta di trascorrere parte non piccola della propria gioventù in stato di gravidanza. Forse gli amici della famiglia, quelli che propongono incentivi a chi produce figli per la patria non sanno che l’età media della popolazione italiana è di 48 anni. Non c’è, perciò, da stupirsi se il tasso di natalità è del 6,8‰. Le culle sono rare in quanto siamo vecchi.   A contribuire a tutto ciò sono, certamente, le difficoltà sociali ed economiche, riguardanti soprattutto le donne, che scoraggiano dal mettere al mondo figli. Più che incentivi sarebbero necessarie politiche che riducano gli ostacoli materiali che costringono tanti giovani a rinunciare a quella che avvertono come una grande gioia: essere genitori.

      Si provi ora a immaginare che questi ostacoli materiali (dal precariato alla carenza di servizi sociali) siano, in breve tempo, rimossi. Si chieda, poi, a uno studioso di demografia di quanto crescerebbero nella nuova situazione i tassi di natalità. Personalmente immagino che si porterebbero al massimo ai livelli francesi o scandinavi ovvero poco oltre il 10‰, anche tenendo conto che l’età media della popolazione transalpina è di poco più di 41 anni. A questo punto facciamo rientrare in campo il buon senso, chiedendo ai fan della lotta al ricambio etnico se tassi di natalità alla francese sarebbero in grado di cambiare, magari nel giro di mezzo secolo, la piramide della popolazione italiana, ringiovanendola. Il buon senso -prima ancora dei demografi- dice di no. Sarebbe necessario, infatti, superare i tassi di natalità tipici delle grandi pianure europee dell’età moderna, quando non c’era l’ingombro dei vecchi: una minoranza che toglieva presto il disturbo. Oggi, purtroppo, si muore tardi e, perciò, raddrizzare la piramide della popolazione è impresa quasi impossibile. Il calo demografico che dipende dal calo delle culle è irreversibile: si avvita su sé stesso. A meno che non si corra il rischio dell’immaginato ricambio etnico.

Guido Panico

Condividi

Facebook Twitter WhatsApp Telegram E-mail

Ultimi articoli della rubrica...

Archivio...