Critica Sociale - Portale della Rivista storica del socialismo fondata da Filippo Turati nel 1891
Critica Sociale ha ottenuto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica

Craxi tra duello a sinistra, impresa pubblica e onda lunga

Pubblicato: 03-02-2023
Rubrica: Dibattiti
Craxi tra duello a sinistra, impresa pubblica e onda lunga

Paradossi: assistiamo ad un tentativo di appropriazione da parte della destra di un leader socialista cresciuto in una famiglia solidamente antifascista. Quando Forattini lo ritraeva in orbace Craxi rammentava amareggiato esattamente questo retroterra familiare. Craxi era imbevuto dei principi e della cultura presenti nel sistema politico della repubblica nata dalla Resistenza, fino a non intravederne il prossimo declino. È stato uno degli (per fortuna non pochi) esponenti del socialismo italiano capaci di fare la storia del paese. È stato parte naturale ed integrante dell’Internazionale Socialista, nella quale si generò la sua grande passione per la politica estera, a partire da una interpretazione non servile della politica atlantica e mediterranea del Paese. E praticò costantemente, generosamente la solidarietà verso i partiti socialisti oppressi dalle dittature. Ricordo un viaggio in pullman in occasione di un convegno europeo in cui Mario Soares lamentò con Giuliano Amato che non era stato riconosciuto a Craxi ciò che aveva fatto per lui e tanti altri.

Delle cose che non gli sono riuscite, alcune delle quali hanno poi condotto il PSI all’estinzione, è giusto parlare a fondo per comprendere meglio. E per respingere spiegazioni del tutto basate sul “complotto comunista”, scongiurando  atteggiamenti traumatizzati, capaci di qualunque impulso. La vicenda da lui vissuta si comprende nel senso che egli tentò a modo suo di risolvere le questioni che attanagliavano il PSI del post-1948, connesse all’essere l’unico socialismo europeo minoritario a sinistra.  Veniamo a tre fra i punti principali della sua segreteria: la centralità del “duello a sinistra”, la fiducia nella presenza dello Stato in economia e la cosiddetta “onda lunga”, quel mutamento elettorale che avrebbe dovuto invertire il rapporto di forza a sinistra a favore dei socialisti. Inverando anche in Italia il miracolo Mitterrand, con Craxi al posto del leader francese.

De Martino e forse ancor più Brodolini, due fondamentali esponenti della nostra storia socialista, concepivano diversamente l’autonomia del PSI e i dilemmi ad essa legati. Essi praticarono perciò, nell’ultimo scorcio degli anni 1960, una presenza al governo concentrata nel rappresentare il mondo del lavoro. Certamente, esisteva in ciò una competizione con il PCI, ma questa si inverava appunto nel dare sbocchi alla crescente mobilitazione del lavoro, non in un prioritario “duello a sinistra” fra partito e partito. La ragione di ciò era che De Martino e Brodolini erano consci del fatto che il PSI era “più determinato che determinante”, e che a ciò lo conduceva soprattutto la condizione di minorità elettorale presso il lavoro dipendente e salariato. Le socialdemocrazie egemoni a sinistra erano tali perché appunto disponevano di questa rappresentanza, e la utilizzavano per mutare i rapporti di forza fra le classi. Nei paesi a forte socialdemocrazia (cosa che il PSI non fu mai) ne scaturiva una democrazia paritaria, che impediva al capitalismo di competere sfruttando, e generava così sia una solida rappresentanza sia un modello produttivo più avanzato.

I socialisti italiani, per ovviare alla condizione di essere al governo privi del dispositivo egemonico socialdemocratico, tendevano a sostituirlo rappresentando il lavoro nel governo (in modo particolarmente esemplare durante il ministero Brodolini). Ciò significava peraltro incarnare un tipo di modernizzazione tipicamente socialista: portare la democrazia nell’impresa e nella produzione, combattere lo sfruttamento, nonché le produzioni “arretrate” che ne derivavano. Purtroppo gli spazi di sfruttamento da noi, nonostante gli ampi progressi, rimanevano eccessivamente aperti. Si perpetuava infatti la bipartizione fra integrati e marginali, e si mantenevano elevati i livelli di disuguaglianza, nonché ovviamente la distanza fra Nord e Sud. Sia per ovviare alle proprie mancanze di rappresentanza sociale rispetto alle socialdemocrazie, sia (anzi tanto più) a causa di questi forti residui di iniquità ed arretratezza, il PSI non poteva operare efficacemente come partito di governo con la DC solo in virtù del proprio potere coalizionale. Per forza doveva anche mantenere la rappresentanza al governo dei ceti operai e medi in nome della lotta contro sfruttamento e precarietà. Senza di questo, infatti, il PSI sarebbe divenuto soltanto un altro partito di coalizione, chiudendo perciò sia ogni speranza di “espandersi a sinistra”, sia di governare assieme alla DC distinguendosene e avanzando verso un più evoluto ordine socio-economico.

Il “duello a sinistra di Craxi” venne dopo e fu in gran parte frutto reattivo della strategia del Compromesso storico del PCI. Ma la sua primazia su tutto il resto comportò che passasse in secondo piano la funzione “alla Brodolini”. Cosí, tanto più  permanendo ampie zone di marginalità sociale, il “duello a sinistra” finì per identificare appieno il PSI quale rivale principe dell’opposizione. I centro-sinistra precedenti al pentapartito, invece, non erano mai riusciti a schiacciare il PSI sul governo. È vero che l’opera di forte polemica verso Craxi che ne seguì derivava anche dalle prospettive sempre più scarse del PCI.  Ma può anche dirsi che del resto si trattava di una reazione comunista alla sfida del “duello a sinistra”. I due partiti somma si intrappolarono vicendevolmente nel duello.

Ma soprattutto: è proprio dallo schiacciamento della identità del PSI sul pentapartito deriva che l’ipotesi di “onda lunga”, che secondo Craxi avrebbe svuotato il PCI e giovato al PSI, rimase frustrata. Vi era un elemento trascurato (forse inevitabilmente) dalla strategia di Caxi: che le opposizioni godano del 40% almeno dei voti è una realtà di ogni democrazia degna di questo nome. Tanto più in presenza di questioni sociali risolvibili solo con strategie diverse dal pentapartito. Così, un PSI ormai del tutto identificato con la “stabilizzazione” pentapartitica accrebbe di poco i voti nonostante potesse giovarsi della presidenza del consiglio, mai avuta prima, e di alcuni importanti risultati: la grande epopea di Sigonella, la riduzione dell’inflazione, il nuovo Concordato. Per questo dopo una contenuta crescita (1987) arretrò di nuovo (1992, al principio di un’epoca in cui la precarizzazione non solo permaneva, ma riprendeva ad aumentare). Questo, si noti bene, nonostante si stesse verificando appieno l’altra condizione dell’”onda lunga”: la crisi terminale del PCI.

Insomma, l’eccesso di identificazione del PSI con la stabilizzazione pentapartito (il cosiddetto CAF) sterilizzò il potenziale presente (ripetiamo: inedito nella storia del PSI) nella centralità politica di Craxi e nel declino rapidissimo del PCI.

Ovviamente, è giusto dire che nemmeno la strategia di De Martino e Brodolini ottenne risultati elettorali. Ma è pur vero che il PSI fra tardi anni 1960 e 1980 (cioè fino ai primi anni della segreteria Craxi, in cui la linea rimase quella dell’alternativa contro il compromesso storico) aveva a che fare con un PCI ancora  in ascesa. Ad ogni modo, fino al 1980 il PSI non fu mai identificabile con il partito della “stabilizzazione” moderata. Nenni, quando nel 1967-68 vide il film di Bellocchio “La Cina è vicina”, confessò ad Arfé la propria preoccupazione per l’immagine di sottogoverno conformista che il film restituiva del PSI. La successiva fase caratterizzata dalle importanti conquiste del Ministero Brodolini (e da tanto altro) scaturí dalla volontà di distinguere il PSI dalla pastoie dei governi Moro 1964-68. Fra molte difficoltà e amarezze, il PSI rimase tuttavia un soggetto propellente della democrazia italiana: ampiamente capace di rapporti fruttuosi sia con la DC (con cui spesso governava, ma rimanendo una forza critica dei presenti equilibri sociali) sia con il PCI e i ceti  che vi facevano riferimento (perché non essendo partito di mera stabilizzazione poteva governare senza poter essere intrappolato nel ruolo di principale nemico dell’opposizione). Anche la permanenza in questa posizione, in quanto veicolo di grandi riforme, ed elemento sia credibile sia imprescindibile di una futura alternativa, sarebbe stata preziosa, nonostante non fruttasse oltre il 10%. La funzione storica di un partito non sta unicamente nel successo elettorale, tanto più che, come abbiamo visto, d’altro canto il “duello a sinistra” non poteva modificare nettamente il quadro. Dunque, mentre Craxi indicò giustamente al PCI la “via Mitterrand” all’ alternativa, le condizioni politiche e socio-strutturali in cui si svolgeva il “duello a sinistra” ne vanificavano una precondizione necessaria: il ribaltamento dei rapporti di forza fra PSI e PCI presso l’elettorato che in tutta Europa vota il socialismo democratico.

In questo quadro va anche contestualizzata la peculiare relazione fra partiti e impresa pubblica, di cui Craxi fu giustamente sostenitore. Essa generava uno “scambio di sovranità”: l’impresa pubblica operava un investimento di lungo periodo, cui la classe politica assicurava un appoggio democratico. A sua volta l’impresa pubblica, agendo come abbiamo sommariamente detto, rendeva il sistema democratico indipendente da sollecitazioni e ricatti provenienti dal potere capitalistico privato, nazionale ed internazionale. Ciò, per necessaria verità storica, anche grazie al finanziamento informale che ne derivava ai partiti stessi, e al PSI della segreteria Craxi in modo tanto ingente che per la storia socialista era un inedito. Sia chiaro che tale “scambio di sovranità” fra politica ed impresa pubblica, per quanto eterodosso e informale/illegale, era tuttavia preferibile alla vera e propria compressione elitista della democrazia che il capitale globale ottiene oggi più o meno ovinque. Oggi vige in sostanza una minorità sistematica della democrazia verso i grandi interessi, una sorta di “corruzione preventiva”, senza nemmeno bisogno di flussi monetari, che spalanca problemi di popolarità della politica sempre più giganteschi, non solo in Italia ma certo in Italia.

Il punto problematico, per tornare al PSI di Craxi, è altro: l’informalità e illegalità del finanziamento al PSI divenne essa stessa un veicolo di stabilizzazione. Anche interna al partito. Per la prima volta nella storia socialista la guida del partito e la linea politica furono ritirate dal dibattito, comportando (chi conosce la storia degli anni 1980 non può negarlo) una trasformazione della “correnti” in potentati locali senza reale finalità politica. Questo a sua volta comportò in troppi casi che il “finanziamento informale” divenne fine a se stesso. Un fatto tollerato dalla segreteria Craxi perché alle correnti andava garantito un compenso per la scomparsa della funzione critica sulla linea politica. Aggiungiamo che da tutto ciò il personale politico uscí deteriorato, tanto più che, governando pressoché ovunque mentre la base elettorale rimaneva costante, il reclutamento del personale politico costringeva a raschiare il fondo del barile. Questo era il PSI da metà degli anni 1980 in poi. Craxi quindi è stato così, nella polemica impazzante fra anni 1980 e 1990, percepito come un perno fondamentale di una stabilizzazione di cui l’impresa pubblica, nonché il potere partitico che ne derivava, era tutt’uno. Se si aggiunge l’interesse del capitale finanziario alle privatizzazioni e il poco amore della cultura ordoliberale UE per l’intervento pubblico in economia, si comprende da dove siano giunte le armi non della critica, ma della demonizzazione  distorsiva contro Craxi, l’impresa pubblica e la Prima Repubblica. La Lega e i Post-fascisti ne sono stati protagonisti  e maggiori beneficiari. Forza Italia ne è stata una scaltra beneficiaria.

Come si vede però ciò non costituisce la benché minima ragione  per attribuire Craxi alla destra: oltre a quanto detto sopra, infatti, il PSI rimase saldamente nella CGIL, nell’Arci, nelle giunte di sinistra e nella Lega Coop. Inoltre meriti ed errori nella gestione dell’impresa pubblica rimontano ad un’idea di primato della politica, nonché di intervento pubblico, che le coalizioni di centro-destra di ogni tipo (specie quelle attuali) rifuggono. Infatti un centro-destra fatto di partiti posseduti da un dubbio capitalismo personale (Berlusconi) e dagli odiatori professionali della prima repubblica (Lega e post-fascisti) non può ambire ad incorporare Craxi.

Peraltro, le imprese pubbliche erano preziose nel produrre investimento capace di domandare lavoro pregiato e ben pagato, comprimendo così le zone di marginalità e sfruttamento lavorativo che in seguito (anche a causa delle privatizzazioni partite negli anni 1990) sono dilagate. Sia a questo, sia ad un’integrazione UE che non approvò nelle forme che ha assunto, Craxi deve rimanere estraneo. Egli appartiene appieno, nelle sue ombre e nelle sue luci, alla storia del socialismo della “prima repubblica”, e al tentativo di risolvere i dilemmi storici del socialismo italiano. Solo speculazioni, o impulsi senza lucidità possono sostenere il contrario.

Paolo Borioni

 

Condividi

Facebook Twitter WhatsApp Telegram E-mail

Ultimi articoli della rubrica...

Archivio...