Le guerre del XXI secolo

In termini assoluti, la guerra in Ucraina è molto meno sanguinosa, (almeno a livello di vittime civili) di quelle che hanno segnato la seconda metà del secolo scorso ( pensiamo al Vietnam ma anche alla guerra tra Iran e Iraq e alle stragi in Indonesia). Ma anche di quelle dei primi due decenni del nostro: che si tratti dell’Afghanistan o dell’Iraq, della Siria, dello Yemen o dell’Etiopia. Ma, come vedremo tra poco, è assai più drammatica. E foriera di pericoli per la pace mondiale.
In comune con loro ( fatta eccezione dei conflitti di tipo coloniale) ha l’impossibilità di concludersi con un accordo formale di pace;il massimo su cui si può contare al massimo, è una sospensione del conflitto. E questo perché non abbiamo a che fare con un contesa di tipo territoriale ma con una guerra motivata da fattori ideologici se non dal puro e semplice odio, il cui obbiettivo e più che la sconfitta la distruzione/resa dell’avversario; e in cui, conseguentemente, i motivi del contrasto, momentaneamente sospeso, rimangono nel profondo e sono suscettibili di riesplodere in qualsiasi momento.
A porre fine al conflitto concorrevano, peraltro, diversi fattori. In primo luogo, e in carattere generale, l’esistenza di un ordine internazionale, istituzionalmente interessato, anzi vocato a porre fine ai conflitti. E, nello specifico, l’esaurimento di uno ( è il caso degli Stati Uniti, protagonisti di diverse guerre asimmetriche, dove la parte più debole è anche la più fortemente motivata, vedi Afghanistan ma non solo); o di tutti i contendenti, consapevoli dei costi sempre meno sopportabili di una guerra in cui nessuno era in grado di raggiungere pienamente i suoi obbiettivi..
In molti casi, infine, le parti in causa non erano in grado di chiudere la partita da soli; ma, allora, a imporre la tregua, c’erano uno o più mediatori esterni ( è il caso del conflitto israeliano palestinese), vitalmente interessat a mantenere sotto controllo conflitti potenzialmente esplosivi.
“Concorrevano”, “Era”. Stiamo parlando del passato. Di un mondo di cui sembrano scomparse persino le tracce. Mentre oggi, la guerra in Ucraina è il motore primo e il simbolo della fine di qualsiasi ordine mondiale degno di questo nome. E di un processo che, se abbandonato a sé stesso, ci spingerà irresistibilmente verso un nuova guerra generalizzate. O, nel migliore dei casi, verso un mondo in cui il moltiplicarsi dei conflitti di ogni genere, e in particolare quelli tra governanti e governati, segnerà la crisi irreversibile della democrazia.
Qui il pensiero corre irresistibilmente alla prima guerra mondiale. Allora, come ci ricorda Clark, i gruppi dirigenti dell’epoca si avviarono come sonnambuli verso un conflitto che immaginavano breve e glorioso ma da cui sarebbero usciti tutti distrutti , assieme alla civiltà liberale.
Oggi, a differenza da quanto accadde allora, tutti, il popolo bue compreso, sono perfettamente in grado di vedere e di capire i pericoli cui andiamo incontro. Anche se i più si tappano gli occhi e le orecchie limitandosi a fare i tifosi ; o tacciono, sperando per il meglio, nella consapevolezza della loro collettiva impotenza.
Oggettivamente, esistono tutte le condizioni per la cessazione del conflitto. Nessuno è in grado di vincerlo sul terreno: i russi possono, al più, consolidare il controllo del Donbass; Zhelensky non è in grado di conquistare la Crimea e il colpo di stato dei buoni ( ?!) per spodestare Putin è una pericolosa fantasia. Per altro verso le sofferenze arrecate al popolo ucraino stanno diventando sempre più insopportabili; ei riflessi del conflitto sull’ordine mondiale e sulla tenuta del sistema democratico sempre più drammatici. E basti citare, a questo riguardo, la sistematica demolizione di tutte le istituzioni internazionali, dall’Onu all’ultima delle Ong; e, nel contempo, le generale erosione del sistema democratico, in ritirata dappertutto, ivi compresi i paesi dell’occidente. Né mancano, a chiudere ragionevolmente la partita, gli aspiranti mediatori.
Pure il meccanismo non scatta. Di più la guerra sembra alimentare sé stessa, in un processo che sembra inarrestabile.
E non scatta perché viene rappresentato, e in modo martellante, non per quello che è- una guerra di natura geopolitica, ma per quello che l’Occidente pretende che sia: una guerra contro la democrazia; e di riflesso una lotta del Bene contro il Male. E quindi un conflitto che non tollera compromessi o tregue; perché non può che concludersi con la vittoria del primo sul secondo.
Capiamo; ma non ci adeguiamo. Anche perché vorremmo sapere cosa intende l’Occidente per “vittoria”. Su questo regna, almeno sinora, un silenzio assordante. Salvo a dividersi tra quelli che vogliono dare a Zhelensky tutte le armi che vuole, accompagnati , nel loro vociare, dagli innumerevoli guerrieri da tastiera e quelli che resistono a questa pressione ambientale- parliamo della Germania e degli Stati Uniti, ma in modo ancora silenzioso. Così come la pubblica opinione , quasi dovunque favorevole alla tregua ( almeno in base ai sondaggi, nella stessa direzione anche in Russia) ma anch’ essa, al dunque, silenziosa.
Fino a quando ?
Alberto Benzoni
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