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Israele e la guerra dei sei fronti

Pubblicato: 31-10-2023
Rubrica: Tempi Moderni
Israele e la guerra dei sei fronti

 

Proviamo a contarli: Gaza, Cisgiordania, Yemen, Siria, Libano, IRAN, un largo fronte di guerra, tutti contro Israele. Poi Erdogan, che si infiamma come un Filisteo definendo Hamas una milizia della resistenza, forse cogliendo in questa caotica situazione mondiale una sua opportunità a completare l’opera di sterminio del popolo Curdo, lo YPG, l’ala militare del PKK. Ai quali va appunto il riconoscimento di essere una forza della resistenza che trascende il tempo, per collocarsi oltre la terra di Karda, sulla stessa linea plesiomorfa del popolo di Israele. La singolarità di questa guerra di difesa di Israele contro Hamas, Jihadisti islamici, Hezebollah Libanesi, è che sono gruppi, milizie appartenenti a diverse formazioni  ideologiche e interessi  religiosi, spesso contrastanti, che si organizzano sotto la protezione e ricevono aiutati dagli stati menzionati, e si muovo e attaccano Israele su sei fronti. 

Il 7 ottobre è ormai un tempo lontano e ancora Israele non ha completato la sua strategia, sempre che ne abbia una, nel caso intendesse occupare Gaza. D’altro canto parlare di una tregua per aprire un dialogo pone più di una questione di natura formale e poi giuridica per Israele. In primis la liberazione degli ostaggi e, in secundum quid, dovrebbe poi trattare con i capi fazione, anche se a mezzo di intermediari, conferendo alle stesse un riconoscimento sostanziale, come se fossero uno Stato, il cui obiettivo è la distruzione del popolo ebraico con lo Stato di Israele.  Uno stato afflitto dagli stessi problemi religiosi e  forme ideologiche proprie di un radicalismo anti palestinese, che caricano di difficoltà una inevitabile intesa, nella quale prevalga la possibilità condizionante di riconoscere l’esistenza di due popoli e quindi l’inevitabile costruzione di due stati. E questo rende la situazione della guerra in corso tra le più complesse dalla fine della seconda guerra mondiale.

Di fronte a questa situazione di guerra, carica di contraddizioni storiche e di incognite sulla sua continuità, viene spontaneo porsi la domanda se Israele può vincere da sola questa guerra che si svolge su più fronti. Si risponderà: ma c’è l’America, con il suo arsenale militare, già dispiegato e pronto ad intervenire nello scontro. Ma è credibile supporre che l’America interverrebbe senza creare un’alleanza, investire l’ONU, trovare un’intesa minima con i Paesi Arabi già legati ad Israele sulla linea di Abramo? E l’opinione pubblica americana, e quella Europea, continente già sottoposto alla pesante crisi economica e sociale dalla pandemia del Covid e ora dalla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, che dura ormai da 20 mesi. Potranno resistere i governi, i Governanti, dell’Europa alla pressione dell’opinione pubblica stanca della guerra ai suoi confini e ignorare queste tensioni nella previsione del voto del 2024? 

La questione è ancora più complicata dal fatto che Israele oggi ha un primo ministro, Benjamin Netanyahu, e una coalizione di governo che non riuscirà e non potrà produrre la chiave di volta necessaria per sostenere una tale alleanza globale. L’unica via da percorrere è un nuovo governo, che assuma il compito primario e prioritario di dichiarare la fine della politica di espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e la ridefinizione di nuove relazioni con l’Autorità Palestinese, elevandola allo status di partner credibile e legittimato a governare la Gaza post- Hamas, con un riconoscimento risolutivo nella creazione di uno stato che includa la Cisgiordania.

Israele non potrà chiedere ai suoi alleati di essere aiutata a portare a compimento la sua vendetta a Gaza, magari pretendendo anche che ignorino il martellamento di Gaza e continui a costruire nuovi insediamenti in Cisgiordania con l’obiettivo dichiarato dell’annessione, ciò sarebbe strategicamente e moralmente incoerente. E, con tutta probabilità, non troverebbe alleati, non riceverebbe assistenza finanziaria e, indiscutibilmente, la legittimità a dare contenuto al suo disegno.  Solo un accordo con la Palestina, diventandone suo partner, potrebbe indurre i suoi alleati globali a sostenerla in questa guerra.  Spetta ad Israele decidere il suo futuro, sapendo che il tempo non gioca a suo favore e che se la guerra continuasse dovrebbe  assumersi la responsabilità di condurre una  guerra difficile lungo  sei fronti. 

Alberto Angeli

 

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