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La sconfitta dell'Arafat di Camp David e la fine dell'illusione "Due popoli e due Stati"

Pubblicato: 29-10-2023
Rubrica: Tempi Moderni
La sconfitta dell'Arafat di Camp David e la fine dell'illusione

Ho avuto la sorte di trovarmi a casa di Bettino Craxi nel 2000 ad Hammamet. Testimoni Bobo, Stefania Craxi, la moglie, signora Anna, e altri 2 compagni. Il funerale del leader socialista era appena stato compiuto, quando arriva la notizia di una imminente visita di Yasser Arafat che vuole rende omaggio alla figura di Craxi inchinandosi per molti minuti davanti ad un suo ritratto nel salone. E’ accompagnato dalla sua scorta che ha partigiani nella stessa casa di Hammamet a integrazione della polizia tunisina, essendo minacciato sin dall’Italia di attentato e scortato 24 ore su 24 con guardie palestinesi che girano tutta la notte nel cortile.

Uno di loro è una guardia del corpo di Arafat. Il leader dell’ANP giunge ad Hammamet direttamente da Camp David.

Ricevuto in salone dopo i saluti a ciascuno di noi ci sediamo attorno e subito egli dimostra di essere perfettamente a conoscenza di quanti socialisti abbiano partecipato ai funerali di Craxi e di dove provenissero e con quali voli e imbarcazioni dalla Sicilia: oltre 3.000 persone. “Un numero considerevole, visto il viaggio da compiere”, disse agli ospiti.

Bobo fa da padrone di casa per rispetto delle abitudini arabe che vogliono gli uomini in posizione di principale interlocutore.

Arafat dice subito di essere appena giunto da Camp David dove erano stati tenuti i colloqui per “due popoli e due stati” promossi da Bill Clinton con Barak, premier laburista israeliano. Senza tappe intermedie, se non con una sosta a Tunisi dove allora era riorganizzato il QG dell’ANP a seguito della precedente guerra con Netanyahu, sprizza letteralmente luce dagli oggi. Occhi profondi e cerulei con uno sguardo che ti trapassa. Ha salutato tutti noi uno ad uno presentati da Bobo come amici leali di Bettino Craxi, rimasti ancora in casa.

Il leader palestinese è letteralmente raggiante e annuncia che tra poco finalmente nascerà lo stato palestinese che avrà come capitale Gerico e invita tutti noi a passare il prossimo Natale a Betlemme. Chiese persino se avremmo potuto indicargli un produttore di rotative per il nuovo giornale del nuovo stato.

Nel dolore di quei giorni, è una notizia di gioia. Ho dunque forti dubbi sulla decisione di Arafat di non firmare quegli accordi.

Immediatamente dopo il loro annuncio, infatti, iniziò la terza intifada che invocava  Arafat a farsi “nuovo Saladino” e  che portò Sharon al potere a Tel Aviv. Arafat non era in condizione di controllare la situazione della propria componente estremista palestinese che lo incalzava. Tergiversa, allungava il brodo, ma soprattutto ha perso in quello stesso anno l’interlocutore laburista Barak  sostituito da Sharon e così si ritrova schiacciato tra estremismo di Hamas e radicalismo di Sharon nuovo  leader Likud israeliano. Solo nel 2006 Sharon rompe con il Likud e fonda Kadima. Arafat è morto da due anni ormai.

Arafat finisce come tutti ricordano in una caverna illuminata da una candela dove sopravvive per alcune settimane e da cui è portato urgentemente a Parigi per un avvelenamento da cui non si salverà.

Muore così l’unico leader palestinese che aveva deposto le armi, rinunciato al terrorismo e partecipato alla stesura di un piano di pace - l’ultimo concretamente possibile – per “due popoli e due stati”. L’ultimo scacchiere che avrebbe posto fine al residuo rigurgito della Seconda Guerra Mondiale, 70 anni fa. Morto Arafat hanno preso il sopravvento le ali estreme in entrambi i campi, e nel campo palestinese ha vinto e liquidato l’Autorità, l’ala che eredità direttamente e ideologicamente la tradizione nazista di completamento dell’Olocausto.

Due considerazione secche:

1 - Netanyahu - se confermate le dichiarazione del leader di unità nazionale, ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano e ora nel gabinetto di Guerra, il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, e dell’ex ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi e il leader dell’opposizione, Yair Lapid, che dichiarano esserne stato informato - deve essere dimesso da primo ministro;

2- La seconda è che la chiave per dare uno stato palestinese le ha la Giordania. Un governo israeliano meno estremista e una disponibilità giordana (che è già uno stato Palestinese) a dare almeno la residenza ai palestinesi di Gaza dovrebbe essere sostenuta finanziariamente dalla comunità internazionale, Europa in testa per la costruzione di un’area di autoamministrazione con nuove case, ospedali, imprese. Finanziate da tutti noi. Ma la Regina deve dare questa disponibilità, prima di ogni alta cosa. Si tratta del suo sangue, poi della geopolitica. E per tutti di un passo concreto, se non ancora per la pace subito, verso il contenimento del conflitto.

Altri “due popoli e due stati” sono una poesia se non si basa su basi politiche concrete, prodromo di una lunga guerra. La Regina di Giordania ha le chiavi per porre il mondo e il Consiglio di Sicurezza  di fronte ad una soluzione che spariglia giochi pericolosi.

Stefano Carluccio

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