Il caso Berlusconi: in morte di un sopravvissuto

Tra tutti i padri fondatori della Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi è l’unico ad essere sopravvissuto politicamente. In piena continuità con sé stesso; e, senza aver bisogno di alterare la sua natura.
Tutti gli altri, chiunque fossero, sono stati logorati irrimediabilmente, fino a collocarsi ai margini della storia, nella veste di testimoni irrilevanti, se non addirittura fastidiosi. Stiamo parlando di Segni, Occhetto, D’Alema, Bossi, Fini, Di Pietro, dei magistrati che “volevano rivoltare l’Italia come un calzino”, dei girotondini, dei cultori del “dio Po”, dei giustizialisti; ma ognuno di voi è in grado di aggiungere altri casi alla lista.
Attenzione: l’essere sopravissuto non è un titolo di merito. E’ un fatto. E un dato che merita una spiegazione. Tanto più in un contesto in cui l’Uomo di Arcore è stato considerato, per almeno vent’anni, il Nemico da abbattere e lo scalpo da esibire al pubblico a certificazione del fatto che la rivoluzione morale avviata da Mani pulite era stata portata a termine. Una volta chiusa la faccenda, come nel 2011, con una condanna penale.
Ma, neanche allora, la faccenda venne chiusa. Ad un punto tale che, appena due anni dopo, Forza Italia, in assenza del suo capo, raggiunse la stessa percentuale elettorale del 1994, mancando di pochissimo la vittoria.
A parere di chi scrive, la cosa ha due spiegazioni. La prima ha a che fare con la natura di Mani pulite. O, più esattamente del messaggio politico trasmesso dai suoi promotori. La seconda, e nel tempo decisiva, con la natura del nostro Personaggio.
Nel primo caso, basti dire che l’allora Pds commise due errori madornali. Il primo destinato ad essere scontato nei decenni successivi; l’assenso scimunito alla criminalizzazione della prima repubblica. Il secondo, pagato immediatamente: il ricorso palese alla via giudiziaria come sgabello per l’accesso al potere. Un regalo che Berlusconi incasserà senza nemmeno doversi chinare per raccoglierlo.
Di suo, comunque, il Nostro ha avuto due requisiti sufficienti a garantirne, praticamente fino alla morte fisica, la sopravvivenza politica.
Da una parte è stato un amorale (in questo liberale, liberista, libertino e libidinoso) ma non un ipocrita: al punto che il suo messaggio non poi tanto subliminale al popolo italiano “fate quello che volete e tutto andrà per il meglio” ha suscitato più invidia che indignazione.
Per altro verso è stato una persona intellettualmente onesta, almeno nelle cose che non riguardavano direttamente la “roba”. Al punto di essere stato l’unico politico italiano nell’area del potere a non spendere una sola parola contro lo zar e a sostegno di Zhelensky e della guerra in Ucraina.
Ed è stato anche, fatto questo decisivo, una persona incapace di odiare fino al punto di stupirsi quando era, a sua volta, oggetto di odio. C’era in questo una qualche eredità della prima repubblica. Ma anche un dato caratteriale personale.
In tempi normali, un dato irrilevante. Nel mondo della guerra, della cultura della guerra e dell’invenzione costante di un nemico interno da distruggere, coltivata a piene mani dalla destra, un contravveleno essenziale.
Ci mancherà. Non è un omaggio dell’ultim'ora. Ma una constatazione del futuro che ci aspetta.
Alberto Benzoni
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