La Liberazione, una Festa contro tutte le guerre
Il 25 aprile che celebriamo quest’anno è del tutto particolare con i carri armati che sui treni attraversano le stazioni del Nord-Italia in direzione dell’Ucraina a seminare morte e con una destra al potere che non perde giorno per seminare odio e che tenta di costruire un clima da guerra civile. La seconda carica dello Stato, fascista dichiarato, non risparmia provocazioni e il Presidente della Repubblica Mattarella in nome di una unità nazionale, ipocritamente, si recherà a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves in Piemonte, accompagnato dai ministri Crosetto e Casellati a dalla presidente del Consiglio la signora Giorgia Meloni. Si cerca di mostrare un clima di unità che non c’è e non ci sarà mai. Sabato 28 aprile 1945 Sandro Pertini, Presidente del Partito Socialista per l’Alta Italia rivolgendosi ai lavoratori milanesi sulle colonne dell’Avanti dichiarava “Lavoratori Milanesi le catene che il fascismo vi aveva imposto per asservirvi alla sua dittatura sono spezzate, la libertà splende su di voi a sventolare nel cielo d’Italia indicando alla classe operaia la meta del suo riscatto: il socialismo. Vada la nostra riconoscenza ai fieri partigiani che privi di mezzi armati solo di profondo amore per la libertà e di odio implacabile per il nemico imponendosi sacrifici di ogni genere hanno per lunghi mesi tenacemente lottato contro il nazifascismo.” Gli faceva eco sulle colonne dell’Unità Pietro Secchia che orgogliosamente dichiarava “”L’eroismo dei nostri valorosi partigiani dei nostri eroici gapisti e sapisti ha vinto. Venti mesi di guerra per la liberazione nazionale sono stati coronati dal più grandioso successo.” Il Popolo organo della Democrazia Cristiana affermava solennemente “L’Italia è libera. L’Italia risorgerà!” e dichiarava “ Il fascismo è stato l’espressione di un pensiero e di una pratica, il fatale sbocco di un torbida corrente che attraversa la vita italiana da gran tempo e che non ha trovato qui la diga di tradizione e di spirito progressivo contro la quale s’è urtata in Altri paesi. Al centro della concezione fascista dello Stato stava l’idea che esso e gli uomini che sono giunti a dominarlo erano assolutamente autonomi do fronte ad ogni legge, ad ogni esigenza e ad ogni interesse.” “La libertà” quotidiano liberale il 28 aprile scriveva “non si riesce a credere che sia finita, che non si debba più temere di essere afferrati per strada o svegliati di notte da quei ceffi armati di mitra per essere avviati al carcere o alla tortura; che non si debbano più vedere in giro quei prepotenti, quegli spioni, quelle ausiliarie. Il vero non sembra vero!” e soggiunge “ Il 26 luglio 1943 il fascismo era morto nella coscienza: nessuno ci credeva più.” Mussolini travestito da soldato tedesco ubriaco era stato arrestato e tenuto prigioniero dalla guardia di finanza prima di essere tradotto a Milano su ordine di Riccardo Lombardi. Nel trasferimento veniva fucilato per un finto tentativo di fuga. Si concludeva così la parabola di un uomo che è stato il responsabile della morte di centinaia di antifascisti e dell’arresto della migliore intellighenzia italiana primo fra tutti Antonio Gramsci. L’Italia si riscattava con l’insurrezione dall’offesa di vent’anni di schiavitù fascista e poteva pensare e sperare finalmente alla ricostruzione della nazione su basi democratiche. Una speranza che aveva sostenuto le forze che avevano costruito giorno per giorno un forte esercito di liberazione. Tutte le forze sane del paese unite contro un unico nemico avevano combattuto senza tregua per liberare l’Italia. Oggi come allora non ci può essere pace con quelli uomini che oggi evocano quel passato e quel regime che fece salire centinaia di italiani di fede ebraica nei treni che partivano dal binario ventuno della Stazione di Milano. Non ci può essere pace con quelli che si dichiarano estimatori di chi fu responsabile di centinaia di migliaia di eritrei vittime della furia omicida del generale Graziani. Non ci può essere pace per rispetto di tutti i morti di tutti gli eroi caduti per la libertà e l’indipendenza dell’Italia: Giacomo Matteotti, i fratelli Rosselli, Giovanni Amendola eroe e martire che profeticamente scriveva all’alba del fascismo “«Veramente la caratteristica più saliente del moto fascista rimarrà, per coloro che lo studieranno in futuro, lo spirito «totalitario»; il quale non consente all’avvenire di avere albe che non saranno salutate col gesto romano, come non consente al presente dì nutrire anime che non siano piegate nella confessione: «credo». Questa singolare «guerra di religione» che da oltre un anno imperversa in Italia non vi offre una fede (che a voler chiamar fede quella nell’Italia, possiamo rispondere che noi l’avevamo già da tempo quando molti dei suoi attuali banditori non l’avevano ancora scoperta!) ma in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza – la vostra e non l’altrui – vi preclude con una plumbea ipoteca l’avvenire». Antonio Gramsci, Bruno Buozzi, Eugenio Curiel e tanti altri martiri impediscono ai sinceri democratici di poter scrivere la parola pace e tendere la mano ad un governo che in un’ansia di potere indica la guerra come unica strada per risolvere un conflitto di cui oggi non si vede la fine.
Con la signora Meloni, con il ministro Crosetto, con il senatore La Russa non si può condividere nulla, tantomeno il 25 aprile. Abbiamo il dovere di rispettare i martiri noti ed ignoti che sui campi della guerra partigiana o nelle galere fasciste o ancor peggio nei campi di sterminio nazisti hanno lasciato la vita per la conquista della libertà della democrazia e per l’annientamento del fascismo.
I socialisti i comunisti, i democratici oggi sono gli eredi di quella lotta che deve continuare con gli strumenti democratici che la nostra Costituzione scritta col sangue di tanti martiri ci ha regalato.
Gli eredi di coloro che allora si macchiarono del sangue di centinaia di martiri sono pronti a sporcarsi di nuovo le mani di sangue in nome del profitto di un liberalismo spietato.
Chi vuole la guerra, chi vuole la morte della democrazia, chi vuole dividere l’Italia tra l’Italia dei ricchi e l’Italia dei poveri non può essere nostro amico e non può condividere cono noi la celebrazione del 25 aprile.
Beppe Sarno
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