Critica Sociale - Portale della Rivista storica del socialismo fondata da Filippo Turati nel 1891
Critica Sociale ha ottenuto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica

Pd, la mission impossible di Misiani nel sultanato di Campania

Pubblicato: 04-04-2023
Pd, la mission impossible di Misiani nel sultanato di Campania

Ci sono almeno due buone ragioni per considerare tutt’altro che epocale la scelta di Elly Schlein di inviare un commissario in Campania, dove il Pd è un sultanato, refrattario a qualsiasi istanza di rinnovamento. La prima è che il commissariamento deciso dalla nuova segretaria è, in realtà, una prorogatio, non essendoci un segretario regolarmente eletto da più di un anno. L’ultimo, Leo Annunziata, si dimise il 21 marzo del 2022. Occorsero novanta giorni di estenuanti trattative tra Roma e Napoli perché, il 22 giugno, Enrico Letta individuasse il traghettatore in Francesco Boccia. Il quale cominciò il suo mandato incontrando il sultano nel suo ufficio di Palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania e l’ha concluso, lo scorso 7 febbraio, denunciando brogli, tesseramenti gonfiati (soprattutto a Caserta) e tutta una serie di nequizie per evitare le quali era stato inviato nella terra di Vincenzo De Luca, il sultano o, se preferite, il più cacicco di tutti i cacicchi esistenti e regnanti nella variegata galassia democrat. La seconda ragione – in fondo legata alla prima – è che non si capisce perché, al netto delle capacità dell’uomo che sono fuori discussione, il neo commissario, Antonio Misiani, già viceministro dell’Economia, dovrebbe riuscire laddove Boccia ha fallito. Nel riportare, cioè, il Pd della Campania all’interno di quella “normalità” democratica che, a parte l’entusiastica fase iniziale del biennio 2008-2010, non ha quasi mai conosciuto.

Perché il Pd della Campania fa storia a sé da qualche decennio, e tutti i segretari nazionali che si sono succeduti – anche quelli animati dalle migliori intenzioni – chi prima, chi dopo, si sono acconciati a questa eccezionalità: dire rassegnati li giustificherebbe troppo, parecchio oltre i loro meriti e (effettive) volontà. A De Luca e ai suoi è riuscita anche la correzione di una legge della fisica: il piccolo contenitore (il partito locale) che obbliga il contenitore più grande (il partito nazionale) a rimpicciolirsi per poter essere recepito. Tutto ciò ha comportato che a imporre patti e condizioni fosse non il più grande, ma il più piccolo. Che da sempre si fa la linea politica che più gli aggrada. Una delle prime cose che Misiani dovrà fare appena metterà piede in Campania, si suppone, sarà quella di ribadire con forza a De Luca un concetto che, in un’infuocata assemblea svoltasi venerdì scorso in un albergone dalle parti della Stazione centrale a Napoli, il più vicino dei dirigenti locali alla nuova segreteria nazionale, Marco Sarracino, ha scandito quasi sillabandolo dal palco. Questo: che la rotta del partito (linea, alleanze, regole interne e tutto ciò che caratterizza un’organizzazione democratica) la decide il Nazareno. Ma, davanti a una platea in cui ha rifatto capolino Antonio Bassolino, per la prima volta dopo diversi anni e su invito del neoeletto segretario provinciale napoletano, il sultano ha ribattuto a muso durissimo: “La linea del partito campano si fa in Campania, non a Roma o alle Nazioni Unite”. Bum.

Quella di Misiani, insomma, sarà tutt’altro che una passeggiata di salute. Non lo sarà nemmeno per Susanna Camusso, che la Schlein ha inviato come commissaria a Caserta, uno dei “buchi neri” del Pd campano, dove il capobastone locale, Gennaro Oliviero, un ex socialista passato con De Luca dopo essere stato eletto (in quota Psi) presidente del Consiglio regionale, è sospettato di aver alterato gravemente l’andamento del tesseramento: una circostanza che ha indotto Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia e oggi eurodeputato, a dimettersi dalla presidenza del congresso regionale. In passato, quand’era viceministro dell’Economia, il neocommissario Misiani incrociò le lame con De Luca un paio di volte a mezzo twitter. Schermaglie tra un (legittimo) esponente dell’esecutivo e un presidente di Regione che, prendendo forse un po’ troppo sul serio la qualifica (inesistente) di governatore, pretende spesso di mettere il becco in questioni non proprio di sua stretta pertinenza. I punti sui quali Misiani e De Luca, anzi i De Luca’s, considerato che sarà della partita anche Piero, il rampollo deputato, rischiano il crash frontale sono all’apparenza due, ma entrambi sono riassumibili nell’esigenza – o se preferite nel ricatto – che tiene paralizzato il Pd campano. La sorte personale del sultano e la sopravvivenza del suo metodo di gestione del partito. Il primo punto è la necessità di allestire, anche in Campania, quel “campo largo” esteso ai Cinque Stelle a cui sembra guardare la Schlein. Un’ipotesi che De Luca rifugge come la peste (e lo ha anche detto all’assemblea di venerdì) perché annusa il trappolone: allargare ai pentastellati significa dare il quasi certo via libera alla candidatura di Roberto Fico alle Regionali del 2025. Quando (e siamo al secondo punto) il sultano ha intenzione di calare il tris, e niente e nessuno gli farà cambiare idea. Questa del terzo mandato rischia di essere una vicenda esemplare, giacché contiene in nuce tutti gli ingredienti essenziali del deluchismo: l’intelligenza col nemico, il trasformismo, le alleanze a geometria variabile. E già, perché se il Pd, tramite la neosegretaria, ha fatto sapere di essere sulla stessa posizione di tutti quei costituzionalisti (in primis l’ex senatore Massimo Villone) che ritengono il terzo mandato un obbrobrio giuridico, lui, il sultano, ha già incassato il più insospettabile (ma non inspiegabile, vista la sua storia politica) degli appoggi. Quello del centrodestra, disposto a votargli la legge in consiglio regionale. In passato, l’appoggio della destra ha sempre cavato De Luca dalle difficoltà: avvenne nel 1993, all’epoca della sua prima elezione a sindaco di Salerno, quando al ballottaggio incassò i voti dei missini; fece il bis nel 2006, quando sempre al secondo turno stabilì un patto elettorale con Nick ‘o ‘mericano, al secolo Nicola Cosentino, ai tempi potentissimo coordinatore regionale di Forza Italia. E anche nel 2020 ha battuto il suo rivale Caldoro potendo contare sul sostegno di diverse liste civiche imbottite di ex luogotenenti dello stesso Cosentino, di fedelissimi di Luigi Cesaro, alias “Giggino ‘a purpetta”, per non parlare di una frangia neofascista, nemmeno troppo occulta, schieratasi con lui.

Le Regionali sono un punto lontano: si voterà fra tre anni. Ma Misiani ha poco tempo a disposizione per rivoltare questa situazione come un calzino e rimettere il Pd in carreggiata. Già in settimana, ha fatto sapere, piomberà a Napoli, per immergersi in una situazione incandescente aperta a qualsiasi sviluppo. All’esito della sua “missione” è legato anche il giudizio sulla credibilità complessiva della svolta incarnata dalla nuova leadership del Nazareno. Chi in passato ci ha tentato è stato sistematicamente costretto a ripiegare, quasi sempre abbandonando il campo. I fatti dei prossimi mesi diranno se può esserci ancora vita sul pianeta Campania, oppure se, come sostiene Carosone nella celebre canzone dedicata all’eroe eponimo e omonimo del dirigente napoletano più vicino alla Schlein, “Sarracino nun si’ cchiù tu”…

Massimiliano Amato

*da www.strisciarossa.it

Condividi

Facebook Twitter WhatsApp Telegram E-mail

Ultimi articoli della rubrica...

Archivio...