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Autonomia differenziata, una questione politicamente complessa

Pubblicato: 07-08-2024

La raccolta delle firme per abrogare la legge sull’autonomia differenziata è andata a gonfie vele...

La raccolta delle firme per abrogare la legge sull’autonomia differenziata è andata a gonfie vele. Un successo della campagna promossa dal Campo largo alla quale, non si può escludere, abbiano contribuito con la firma online, e quindi riservandosi un certo anonimato, alcuni settori del centrodestra. Soprattutto meridionali. Sensibili all’appello secondo il quale l’autonomia differenziata spaccherebbe l’Italia in due favorendo le aree ricche a scapito di quelle più povere.

La soddisfazione nel centrosinistra è tanta. Anche perché, nessuno lo nasconde, più che il referendum in sé, in queste settimane è entrata in gioco la prova generale per la costruzione di un largo schieramento di opposizione, premessa fondamentale per un’alternativa al centrodestra.

Non è un caso che sul punto Elly Schlein abbia dichiarato: “Un’alternativa a questa destra è possibile e noi la stiamo costruendo”. Tutto legittimo. Persino al di là del merito e al di là delle contraddizioni insite in questa vicenda. 

L’avevo sostenuto in un articolo di circa un anno fa, quando facevo notare come, piaccia o non piaccia, l’autonomia differenziata “è figlia della riforma del Titolo V del 2001, quando il governo Amato, con l’allora Ministro Bassanini, in un momento di totale ubriacatura (pensando così di sottrarre alla Lega parte dei suoi consensi) decise di dilatare a dismisura le competenze regionali fino a metterle in conflitto con lo Stato centrale e con il principio della indivisibilità della Repubblica”. Avviando le procedure per l’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario. Un’iniziativa politicamente inutile, non a caso il centrosinistra perse le elezioni solo qualche mese dopo. 

Una riforma costituzionale giustificata, secondo i proponenti, dal fatto che bisognasse frenare le spinte secessioniste della Lega per combatterla sul suo stesso terreno. Ma era falso anche questo. Quella riforma, ed è bene che Elly Schlein lo sappia, fu proprio voluta dall’allora Ministro Bassanini, motu proprio, che negli anni precedenti aveva preparato il terreno durante il governo Prodi.

Dopo la raccolta delle firme per indire il referendum, il centrosinistra misurerà il proprio successo politico se riuscirà a portare al voto il 50% più uno degli elettori, per raggiungere il quorum e rendere così valido l’esito referendario. Di per sé un’operazione non semplice perché molti referendum in questi anni il quorum non l’hanno raggiunto e perché il trend di partecipazione al voto non è certamente dei migliori.

Nel merito una serie di contraddizioni.

Quella del PD e dell’atteggiamento tenuto a scala locale subito dopo il 2001. Qualche esempio. L’allora sindaco di Bergamo Giorgio Gori, di lì a poco candidato per il centrosinistra in Regione Lombardia, oggi europarlamentare, scese in campo al motto “Lombardia autonoma in un modo o nell’altro”. Le regioni rosse della Toscana e dell’Emilia si mossero subito a favore dell’autonomia differenziata. In Lombardia in occasione del referendum consultivo indetto dalla Regione nel 2017 la posizione del PD fu chiara: “contrarietà all’indizione del referendum ma non all’oggetto del quesito. Libertà di voto tra favorevoli e astenuti”. Contrari allora solo i militanti socialisti e Rifondazione Comunista.

La seconda contraddizione è nel contenuto tutto meridionalista dello scontro, perché se la questione è costituzionale, come lo è, non attiene soltanto al tema della divisione tra nord e sud, ma riguarda l’equilibrio dei poteri e il pericolo che questa legge impedisca al governo e al parlamento di assumere, anche in momenti delicati della vita del Paese, decisioni di indirizzo fondamentali nell’interesse dell’intera collettività. Impedisce allo Stato centrale politiche nazionali obbligatoriamente unitarie. In questo senso l’autonomia differenziata colpisce in egual misura sia il nord che il sud ed è un danno per tutti. Anche perché dietro il bandierone di Calderoli si nasconde il pericolo che per gestire le competenze trasferite anche le regioni del nord potrebbero avere bisogno di aumentare le entrate fiscali.

La terza contraddizione è che se l’autonomia differenziata è un vero vulnus della democrazia e dei principi di uguaglianza, bisognerebbe avere il coraggio di avviare le procedure per la modifica della Costituzione e del Titolo V. E dovrebbero proprio farlo le forze del centrosinistra che quella riforma hanno voluto. Come paradossalmente chiese Fratelli d’Italia nel 2014.

Diversamente le incongruenze continueranno a sussistere. Cancelliamo di fatto una legge attuativa lasciando in Costituzione il male originario. Consentendo così al governo, anche dopo la vittoria del referendum e senza legge Calderoli, di andare avanti sulla strada delle intese con le Regioni per attuare l’autonomia differenziata. 

Roberto Biscardini

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