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Il caso Scurati e il 25 Aprile

Pubblicato: 24-04-2024

L'antifascismo, il fascismo 2.0 e la squalifica dell'avversario

Il caso Scurati è stato, in primo luogo, una dimostrazione clamorosa del servilismo imperante che spinge automaticamente a essere più realisti del re. E a conformarsi a direttive prima ancora che queste vengano concretamente formulate. Così il poliziotto si sente di nuovo autorizzato a manganellare; il giornalista a esaltare il nuovo ruolo dell’Italia nel mondo; il presentatore a togliere la parola a quanti vanno oltre a limiti a suo modo di vedere invalicabili; le “autorità competenti” a cancellare da programmi o eventi culturali quanti si ostinano a cantare fuori dal coro; e i leoni da tastiera a condurre guerre ben prima che queste vengano dichiarate.

Non crediamo, però, che, come afferma Scurati, la sua vicenda abbia a che fare con il fascismo o con il suo ritorno prossimo venturo. E questo, in primo luogo, perché fenomeni del genere, che vedono i poliziotti usare le armi e le stesse autorità estendere oltremisura la censura preventiva e a arrivare a introdurre lo stesso reato di opinione, si manifestano, in modo più o meno grave, in altri paesi d’Europa, a partire dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dalla Germania e, naturalmente, in nome della difesa della democrazia contro i suoi nemici esterni e interni che si anniderebbero dappertutto. Aggiungendo che l’Italia di Sua Tranquillità Tajani è lontana mille miglia dall’isterismo bellicista artatamente diffuso in quasi tutti gli altri paesi europei e per ragioni puramente strumentali.

E, allora, i casi sono due: o il cosiddetto “fascismo” è un fenomeno che coinvolge tutti i paesi occidentali a prescindere dal loro passato; e magari in minor misura un paese che questo passato ce l’ha; ma questo non lo dice nessuno. Oppure, e questo è il nostro parere, si tratta di un fenomeno nuovo, e certamente assai preoccupante ma che con l’esperienza del ventennio non ha nulla a che fare. E questo, sia detto per inciso, lo stesso Scurati dovrebbe saperlo più di chiunque altro. Avendo scritto tre libri sul fascismo che individuano la sua essenza nella pratica e nel culto della violenza fisica e della guerra, tratti che, con tutta la buona volontà possibile, non è dato individuare nel governo e nella maggioranza di oggi.

Né morde veramente l’intemerata del Nostro: “se non ti dichiari antifascista, vuol dire che lo sei”. Nella consapevolezza che la Meloni non sarebbe mai in grado di dichiararsi antifascista, ammesso e non concesso che avesse le intenzioni di farlo; e per un’infinità di motivi, il primo dei quali è forse che nessuno le crederebbe.

Da ultimo, il vittimismo. Più che giustificato per le tante collettività di “senza potere”, privati dei loro diritti e inascoltati, se non peggio, se si azzardano a protestare. Meno per chi occupa una posizione di privilegio e non corre altri rischi se non quello di rimanere oggetto perenne delle contestazioni della destra.

E, allora, la polemica potrebbe finire qui, con la vittoria ai punti di quest’ultima. Ma solo perché la maggioranza degli italiani, magari anche critica del governo, non crede che si sia di fronte a una riedizione del fascismo o, e questo sarebbe assai più preoccupante, è indifferente rispetto a questo problema.

Il fatto è però che nell’orizzonte politico della destra non sono contemplate vittorie ai punti ma la squalifica politica o soprattutto morale dell’avversario.

Si va così da Cospito, ispiratore di terroristi e perciò meritevole del 41 bis, alla Salis manganellatrice seriale ai danni di patrioti ungheresi e di pacifici cittadini e perciò da incarcerare, in Ungheria ma anche in Italia. Per continuare con gli studenti che meritano di essere manganellati perché automaticamente qualificati come antisemiti e quindi negatori dei valori di fondo su cui si basa la civiltà occidentale. O con i pacifisti complici dello zar o, peggio, dei terroristi di Hamas. Per arrivare ai detentori del reddito di cittadinanza, fannulloni se non mafiosi. O agli scioperanti, per definizione irresponsabili e insensibili agli interessi stessi del paese. O alle Ong e alle organizzazioni cattoliche, complici degli scafisti. O agli studenti indisciplinati meritevoli di bocciatura. Per concludere, come volevasi dimostrare, con gli antifascisti, colpevoli di dividere sostenitori del comunismo e difensori della libertà. Un elenco cui potremmo aggiungere altre voci; tutte, peraltro ascrivibili a un identico progetto politico. Quello di criminalizzare, collettivamente ma, all’occorrenza, personalmente l’espressione del dissenso.

Nel nostro caso, allora, quello che interessa alla Meloni è, da una parte accantonare la questione del fascismo (“roba del passato”) e, dall’altra, demolire l’antifascismo.

Come reagire?

Non possiamo contare subito sul “sole dell’avvenire”. Anche perché nessuno è in grado di riproporlo e di farcelo vedere. E, non a caso, la stessa “volontà politica” è scomparsa dal vocabolario, senza che nessuno se ne accorgesse; a conferma del fatto che (quasi) nessuno crede più alla possibilità che qualcuno o qualcosa possa cambiare lo stato delle cose.

Né riusciamo ad accettare che il 25 Aprile possa continuare a essere il luogo della denuncia, dell’appartenenza e, soprattutto del piagnisteo. Ci sono voluti ben I50 anni prima che il I4 luglio francese e il suo grande messaggio di libertà, eguaglianza e fraternità non fosse più rimesso in discussione dalla destra francese. Ma ciò non ha impedito che, anno dopo anno, questo fosse celebrato, prima dai rappresentanti della Repubblica e poi come festa di popolo.

Perché, allora, non dovrebbe essere così anche da noi? Prima il discorso del presidente della Repubblica, con la successiva sfilata non solo di bersaglieri e di crocerossine, ma anche di tutte le associazioni che rappresentino cause e solidarietà collettive; il pomeriggio balli, feste e scampagnate. Nella consapevolezza, anzi nella convinzione, che il 25 Aprile contiene in sé il Primo Maggio e il 2 Giugno; che appartiene a tutti; e che il suo messaggio si proietta nel futuro e non si inaridisce nella nostalgia del passato.

Forse potremo assistere a un 25 Aprile di questo tipo; o forse no. Ma, per favore, lavoriamo tutti per non assistere più al 25 Aprile di quest’anno: sia quello reale all’insegna della patria in pericolo e del ritorno del fascismo, con lo steso Scurati a spiegarci il perché e il percome. O, peggio ancora, quello descritto dai media ufficiali: chi c’era, chi non c’era, chi doveva esserci e non c’era, chi non doveva esserci e c’era, il pacifismo a senso unico, l’antisemitismo, la brigata ebraica, divisivo, non divisivo, eccetera eccetera.

Il pericolo c’è, eccome. Ma il fascismo 2.0, in Italia e in Europa non vuole la distruzione della democrazia; il suo scopo è quello di convincere la gente che il suo esercizio è inutile, se non dannoso. O, detto in altro modo, che si possa ottenere tutto individualmente o corporativamente; ma nulla collettivamente.

Il nostro scopo è allora quello di dimostrare il contrario. Non piangendo sui torti subiti ma enunciando i nostri propositi e le azioni necessarie per renderli concreti e porli al centro del confronto politico.

Alberto Benzoni Roberto Biscardini

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