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L’orrore nascosto per paura della Pace

Pubblicato: Numero 03 - 2023

Giuseppe Scalarini (1873-1948): «La guerra» (7 agosto 1914).
Giuseppe Scalarini (1873-1948): «La guerra» (7 agosto 1914).

Uno spettro si aggira per l’Europa. È lo spettro della Pace contro il quale, a guisa di quanto rilevavano nel 1848 Marx e Engels riferendosi al comunismo, si sono coalizzate tutte le potenze del vecchio continente. E non solo. Nell’era della guerra 4.0 gli algoritmi dell’informazione sono stati riprogrammati perché i massacri, le distruzioni, le migliaia di morti in battaglia non facciano più notizia. Gli orrori dei combattimenti in Ucraina sono usciti dalle prime pagine dei quotidiani (in alcuni casi non ci sono mai entrati), o relegati in posizioni subalterne nella gerarchia dei palinsesti radiofonici e televisivi. Resiste la trincea indipendente del web, ma la durata del conflitto scoraggia l’iniziativa di chi lo segue non a scopi propagandistici bensì per raccontarlo per quello che è. Una carneficina. Senza senso. Antistorica. “L’offensiva ucraina si è scontrata con un muro d’acciaio. 7.000 morti, 160 carri armati e 360 veicoli blindati distrutti in una sola settimana con guadagni insignificanti. È un inutile bagno di sangue. Carri armati Leopard e veicoli Bradley carbonizzati giacciono ovunque. Dire all’Ucraina di combattere “fino a quando sarà necessario” è disumano. Mettete subito fine a questa tragica guerra”, ha dichiarato recentemente sui social l’ex senatore democratico Dick Black, già colonnello dei Marines, veterano della guerra in Vietnam che ha sollevato il velo da ciò che non ci raccontano e non ci fanno vedere. Sono parole, le sue, che non hanno bisogno di alcun commento. L’oscuramento della realtà rappresenta la seconda fase, la più subdola e sfuggente, di una pervasiva strategia mediatica basata, in un primo momento, sulla criminalizzazione – mediante la putinizzazione coatta e le liste di proscrizione – delle voci critiche verso la condotta dell’Occidente in uno dei tornanti più drammatici della sua storia recente. Ora è il tempo della rimozione. Lo scopo è sterilizzare il dibattito sulla Pace necessaria. Disseccarne le fonti. O fare apparire una legittima aspirazione, diventata col passare dei mesi esigenza vitale e impellente, come il residuo di un radicalismo fuori tempo e fuori luogo. Nel silenzio angosciante della politica, definitivamente imbalsamata nel suo ruolo ancillare rispetto alla sterminata mole di interessi economici e geopolitici in gioco in un frangente di veloce scomposizione/ricomposizione dello scacchiere globale, si perde la rischiosissima missione diplomatica del delegato del Pontefice, il cardinale Zuppi, da Francesco inviato a Kiev e a Mosca per invitare Zhelensky e Putin a ragionare. Il bavaglio alla ragione (una guerra in cui nessuno dei due contendenti riesce a prevalere sull’altro andrebbe fermata senza indugio e con qualsiasi mezzo, perché continuando ad libitum innesca continui pretesti per una conflagrazione più ampia e incontrollata) è il presupposto dello stato di narcosi in direzione del quale si cerca di orientare la dimensione emotiva. Meno contezza si ha di quanto sangue sta scorrendo sui tanti campi di battaglia, più risulta agevole lo scivolamento verso il nirvana dei sentimenti. Se il dibattito sulla cessazione delle ostilità in Ucraina si mantiene così minoritario e periferico è perché fa molta fatica a formarsi, nell’opinione pubblica europea e mondiale, un immaginario globale e condiviso con al centro la necessità indifferibile della Pace. A cosa sia dovuto tutto ciò, è presto detto: la Pace ha riacquistato un peso specifico rilevante nello scontro sugli assetti complessivi del pianeta. È diventata un pericolo potenziale. Non più valore astratto ancorché irrinunciabile, ma attrice antagonista. Porre adesso il problema della Pace significa mettere radicalmente in discussione il modello su cui si è costruito il mondo dell’ultimo quarantennio, il cui segno caratterizzante è stata la progressiva neutralizzazione, soffice ma dolorosissima, del conflitto sociale (anche di quello ricomposto sommariamente nel sostanziale compromesso della seconda parte del Novecento), in un quadro complessivo di cambiamento profondo dei rapporti di forza nella società, nella politica, nell’economia. Questa ridefinizione, insieme all’accantonamento delle parole d’ordine riferibili alle tradizioni politico-culturali solidaristiche e egualitarie, ha messo in crisi – giacché ne ha dimostrato l’inefficacia in chiave difensiva e quindi l’abissale inutilità – anche le correnti liberaldemocratiche più avanzate. L’insensato prolungamento della guerra è, sotto questo aspetto, una tragica rivelazione. Di fronte al precipitare della situazione in Ucraina a franare è soprattutto l’Europa, perché le radici recenti di quella idea, messe a dimora settant’anni fa, sono state attaccate e rese inerti dal diserbante dei nuovi imperialismi della globalizzazione. Il grande ritorno totalitario prodottosi a cavallo tra secondo e terzo millennio, con il quale la brutalità dei rapporti economici ha preso il sopravvento sulla mediazione democratica scolpita nelle Costituzioni nate dopo la fine del secondo conflitto mondiale. In primis quella italiana, oggi oltraggiata in uno dei suoi principi fondamentali, quello contenuto nell’articolo 11, con la sostanziale obliterazione, da parte dello Stato-apparato, del ripudio della guerra: un “bene originario” la cui titolarità, secondo i costituzionalisti più avvertiti, è esplicitamente assegnata dalla Carta allo Stato-comunità. In uno scenario del genere un’alleanza per la Pace, vasta e multiforme, può rappresentare di per sé stessa un progetto politico rivoluzionario, in grado di prefigurare un nuovo orizzonte di cambiamento. E riconsegnare alla sinistra, se essa saprà farsene carico ritro vando la genetica vocazione internazionalista e riconoscendo la sostanziale ambiguità di termini come riformismo e progressismo, quella funzione storica e quella sensibilità specifica di cui si è fatta portatrice per quasi un secolo e mezzo: lo spettro contro cui oggi le grandi potenze globali alzano i loro cannoni. Reali e virtuali.

Massimiliano Amato

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