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Iran, da rivolte di genere a prove di rivoluzione

Pubblicato: 03-02-2023

Non sono più solo le donne a manifestare il loro dissenso, ma al loro fianco scendono in piazza uomini, giovani ragazzi e donne anziane

Negli ultimi mesi stiamo sentendo molto parlare della Repubblica Islamica dell’Iran, un Paese che a periodi alterni torna a far parlare di sé. L’Iran inizia a inondare i telegiornali di tutto il mondo per la prima volta nel 1979, anno dello scoppio della rivoluzione islamica. Si tornerà a parlare del Paese in varie occasioni nel corso degli anni. Prima a causa della crisi degli ostaggi, poi per la guerra con l’Iraq e poi per la questione dello sviluppo nucleare portata avanti dal presidente Ahmadinejad.

Ad oggi però si parla della Repubblica Islamica a causa delle proteste che stanno infuocando il Paese da settembre 2022. Cosa sta succedendo in Iran e perché il popolo protesta con ferocia?

Facciamo un breve punto della situazione

Le rivolte in Iran scoppiano nel settembre del 2022, la ragione risiede nell’uccisione di Mahsa Amini da parte della polizia morale. Una ragazza di 22 anni, originaria della provincia iraniana del Kurdistan, la quale viene fermata per strada e arrestata dalla stessa polizia con l’accusa di non indossare correttamente il hijab (ricordiamo essere obbligatorio dal 1979). La ragazza essenzialmente viene picchiata e torturata fino alla morte. I genitori denunciamo il fatto e la notizia fa il giro del mondo. La morte di Mahsa Amini scuote profondamente il Paese, una ragazza di soli 22 anni che viene brutalmente picchiata fino alla morte, solo perché non indossava perfettamente il velo, è un’azione che il popolo iraniano non può più sopportare. Fin da subito sono le donne a scendere in piazza e protestare, rivendicando a squarciagola le loro libertà e chiedendo che siano riconosciuti loro i medesimi diritti di cui godono le loro controparti maschili. Vengono bruciati hijab in pubblica piazza e molte donne si tolgono il velo in pubblico e tagliano ciocche dei loro capelli in segno di ribellione e protesta contro un governo che non le protegge, ma anzi le uccide violentemente (quello del taglio dei capelli è un gesto dal forte simbolismo, poiché nella tradizione iraniana una donna che oltrepassa il limite della morale, può subire come punizione imposta dal padre/fratello/marito proprio il taglio dei capelli). All’inizio dunque le proteste hanno una partecipazione essenzialmente femminile e per questo sono chiamate le “proteste delle donne”, ben presto però queste mutano e diventano trasversali e intergenerazionali. Adesso non sono più solo le donne a manifestare il loro dissenso, ma al loro fianco scendono in piazza uomini, giovani ragazzi e donne anziane, che lamentano problemi di stampo economico e sociale che attanagliano il Paese da decenni, come l’alta inflazione, l’altissima disoccupazione, salari troppo bassi e ovviamente mancanza di libertà e ripetute violazioni dei diritti umani. Molti bazar chiudono (anche se non tutti in segno di protesta, molti lo fanno per paura), le proteste crescono e si sviluppano in varie città del Paese e per la polizia diventa sempre più difficile fermare il dissenso. I motivi che hanno spinto migliaia di persone a scendere in piazza non sono nuovi, infatti ciclicamente il popolo iraniano ha cercato di manifestare contro il proprio governo, tanto che le ultime proteste che si sono sviluppate nel Paese risalgono al 2019, le quali però dopo qualche giorno dal loro inizio furono soppresse nel sangue dalla polizia e dai pasdaran, i quali sparando sulla folla, in una sola giornata uccisero circa 300 persone. Il giorno dopo le proteste avevano esaurito la loro forza motrice e nessuno scese in piazza per manifestare.

Allora ci si potrebbe chiedere se queste proteste del 2022 siano in qualche modo diverse dalle altre e se così fosse anche la loro fine potrebbero essere differente? E se questa volta i manifestanti invece di soccombere vincessero?

Cerchiamo di rispondere con ordine

Le proteste che stanno invadendo la Repubblica Islamica sono di fatto diverse da altre proteste che si sono susseguite in Iran negli anni e questo perché non solo sono diventate mediaticamente importanti, grazie alla diffusione di immagini e notizie che sono circolate sul web, ma anche perché in questa occasione la risposta da parte del governo e della polizia non è stata così oppressiva come può sembrare. È vero ci sono state delle uccisioni, sparatorie ed esecuzioni di piazza da parte della polizia, ma non sono state particolarmente capillari, questo perché è probabile che lo stesso governo abbia paura di reagire troppo violentemente nei confronti dei manifestanti, con il timore che le ribellioni sfuggano loro di mano e si trasformino in una vera e propria rivoluzione. Tale paura da parte delle élite politiche, risiede nella consapevolezza di quanto in questo momento storico la politica e la figura della Guida suprema siano fragili all’interno del Paese. Infatti il governo di Teheran è un governo instabile che si fonda su un consenso popolare misero e la Guida Suprema l’ayatollah Khamenei, negli anni ha perso sempre più consenso popolare, tanto che spesso i cori che si alzano dalle proteste gridano proprio “morte al dittatore Khamenei”. L’ayatollah è un uomo vecchio e probabilmente anche malato e non si sa ancora per quanto tempo riuscirà a svolgere le sue funzioni politiche, religiose e carismatiche all’interno della Repubblica e questo fa paura al governo. Tutto questo mix di situazioni sembra volgere in favore dei manifestanti e porta a pensare che prima o dopo in Iran scoppierà un’altra rivoluzione. Eppure quella parte cinica di ognuno di noi ci porta pensare che invece non ce la faranno e che alla fine il governo ristabilirà il suo ordine. Allora la seconda domanda da porci è: i manifestanti ce la faranno davvero? Esiste una possibilità che alla fine a vincere siano loro? In questo caso la risposta potrebbe avere un gusto dolce amaro, perché se da una parte è vero tutto ciò sopra scritto è anche vero che le proteste non hanno un capo, che organizzarsi diventa difficile a causa della chiusura di social network e del rallentamento di internet e infine come spesso succede non esiste un’unica idea madre per la quale battersi, in grado di mettere d’accordo tutti. C’è chi manifesta per i diritti, chi per la mancanza di lavoro, chi per quella di denaro e chi per quella di cibo. Inoltre l’insurrezione che sta avvenendo in Iran non può definirsi generale al 100% perché molte persone appartenenti a classi sociali più alte, come ad esempio i bazari, non sono scesi in piazza a manifestare e neppure personalità di spicco della vita religiosa e soprattutto politica non si sono schierate a favore dei rivoltosi, molti di loro hanno preferito il silenzio per paura di possibili ripercussioni da parte del governo e dei pasdaran.

In conclusione non possiamo sapere come finiranno le rivolte in Iran, se alla fine i manifestanti vinceranno o soccomberanno alla polizia. Attualmente l’unico scenario nel quale i manifestanti possano vincere è quello in cui la polizia o deponga le armi contro di loro o addirittura si schieri dalla loro parte, ma non è detto che anche in questo caso la situazione futura possa volgere a vantaggio della popolazione. Come non sappiamo neppure quale sarà il futuro della Nazione, indipendentemente dal responso di tali eventi è innegabile che queste proteste abbiano smosso profondamente il Paese e che abbiano portato a galla moltissimi problemi con i quali il governo di Teheran prima o poi dovrà fare i conti. Quello che però sappiamo è che questa volta gli iraniani non hanno avuto paura di morire, come non la ebbero nel 1979, che le proteste sono state senza genere e senza età e che per l’ennesima volta il popolo iraniano ha saputo dimostrare prima di tutto al suo governo e poi al mondo di non aver paura di lottare per i propri diritti.

Marina Gorgoni

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