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Le ragioni di una guerra (e le ragioni per porvi fine)

Pubblicato: 08-09-2024

 

Oggi, a favore della prosecuzione della guerra russo/ucraina ci sono tutti quelli che vi partecipano o che sono direttamente o indirettamente coinvolti nel conflitto. Anche se in funzione di prospettive radicalmente diverse.

Intenzionato a porvi fine, invece, il resto del mondo, con una serie di potenze disposte a svolgere il ruolo di mediatori. Salvo a sentirsi dire che non era il momento o che le loro proposte avrebbero automaticamente favorito l’aggressore. Senza però assumersi la briga di spiegare perché.

Ancora più sgradevole la condizione dei “pacifisti/pacifinti/putiniani” accusati di essere “utili idioti” del Cremlino, se non peggio. Che è poi quella nostra.

Forse non abbiamo spiegato abbastanza che la nostra condanna dell’aggressione è sta netta così come il riconoscimento del diritto degli ucraini a difendersi e dell’occidente a sostenerli (senza però porre ostacoli alle intese raggiunte per una sospensione delle ostilità).

Forse, non abbiamo ripetuto a sufficienza che il nostro obbiettivo non è la pace tra i due governi e i due popoli. Ci vorranno anni e anni per arrivarci, se mai ci si arriverà. Ma, qui e ora, una tregua, che apra la via a un negoziato. Forse non abbiamo ricordato a chi di dovere un fatto che lui stesso dovrebbe tenere presente; e cioè che a pagare tutte le conseguenze della prosecuzione del conflitto è il popolo ucraino e non quello russo. Forse non abbiamo sottolineato, a uso e consumo dei sacerdoti della democrazia, che elemento fondante di quest’ultima è il diritto all’autodeterminazione dei popoli; e che questo diritto non può essere invocato per i kosovari e negato agli abitanti della Crimea e del Donbass. Forse non abbiamo ripetuto fino alla nausea, come avremmo dovuto, che la “guerra per difendere la democrazia”, cara a Biden e, con lui, agli interventisti democratici, è iniziata tra due paesi che non erano un modello di democrazia e che lo sono diventati sempre meno, così come l’Europa, nel corso del tempo. Forse non abbiamo richiamato, come sarebbe stato necessario, i nostri guerrafondai della tastiera al rispetto dei fatti. Facendo presente che il conflitto in Ucraina è stato, almeno sinora, analogo a quello della prima guerra mondiale: perdite enormi tra i soldati, scarsissime tra i civili; e, a ben vedere, più numerose nel Donbass che nelle altre zone dell’Ucraina. E potremmo continuare.

Meglio però fermarsi, per arrivare a quello che è un po’ il nodo della questione. E cioè al fatto che il nostro no alla prosecuzione del conflitto si misura, qui e ora, con la volontà di Putin di proseguirlo. E che, in questo caso, non siamo di fronte ad un gioco delle parti ma a due prospettive del tutto diverse tra loro.

Se Putin ha interesse alla prosecuzione del conflitto è per diverse ragioni. Perché il suo fronte interno è molto più compatto di quello dell’avversario e dei suoi alleati. Perché lo sta vincendo. E, infine, perché pensa, e non a torto, che l’incapacità di Biden e, per la proprietà transitiva, della Harris di   chiudere la partita è il più grande assist per Trump che assicura di poterlo fare in 24 ore.

Assai più inconsistenti, invece, gli argomenti dei guerrafondai occidentali. E di chi li sostiene.

Così non ha alcun senso, dal punto di vista militare, pagare l’incursione in territorio russo con il lento franare della resistenza ucraina nel Donbass. Così la scommessa di Zelensky - alzare il livello del confronto in modo di porre Putin nell’alternativa tra l’uso dell’atomica e il riconoscimento del suo fallimento - può convincere quelli che pensano che ogni avversario dell’occidente sia, perciò stesso, non solo malvagio ma anche stupido e pazzo (leggi novello Hitler); ma, nel mondo reale, non è credibile.

Ciò detto non si può chiedere a Zelensky - tanto più quando eletto da noi a difensore e martire unico della democrazia e dell’occidente - di contattare Putin per sollecitare una tregua. E non perché l’obbiettivo sia sbagliato mentre è sacrosanto; ma perché questo compito spetta all’occidente. E non per ragioni ideologiche ma perché una soluzione equilibrata e, relativamente soddisfacente di una serie complessa di problemi (confini, garanzie reciproche di sicurezza, diritti delle minoranze; per tacere della ricostruzione di un rapporto costruttivo o quantomeno normale tra Europa e Russia) può essere raggiunta solo se affrontata globalmente con l’impegno della Comunità internazionale. Anche perché le alternative concretamente sul tappeto sarebbero comunque più deboli e quindi meno favorevoli alla causa della pace mondiale.

Pure l’Occidente, al di la o al di qua dell’Atlantico, è contrario ad un suo intervento collettivo al punto di rifiutare pregiudizialmente di prenderlo in considerazione. E di tacciare da quinte colonne del Cremlino coloro che propongono non la pace ma una tregua suscettibile di avviare un processo negoziale.

E qui sorgono due questioni. La prima ha a che fare con “cosa sta dietro” a questa pregiudiziale.  E trova risposte diverse e articolate, sintetizzabili peraltro nella cultura della guerra come scontro tra Bene e Male di cui è imbevuta la visione del mondo dei democratici Usa e nell’utilizzo cinico che di questa cultura fanno le classi dirigenti europee per (s)qualificare preventivamente qualsiasi opposizione alle loro politiche. La seconda, che ci investe direttamente, ha a che fare con la conferma retrospettiva di un detto di Goebbels: “perché un’opinione si trasformi in verità basterà ripeterla di continuo”. Mi direte, a questo punto, che la cosa era possibile nella Germania nazista, mentre oggi…

Mentre oggi ci troviamo ad un esempio clamoroso perché generale di servitù volontaria.  Non è qui in discussione, sia chiaro, la condanna dell’aggressione e il diritto dell’Ucraina di difendersi e di essere aiutata a farlo; ma in vista di un accordo che ponga fine ai combattimenti. Mentre è in discussione, eccome, la trasformazione dell’avversario in Mostro; a costo di tacere i fatti e di manipolarli in una misura senza precedenti nella storia. E senza suscitare, nel merito, reazioni significative.

Così un’aggressione, errore oltre che colpa, ma chiaramente ispirata a criteri geopolitici, è stata trasformata nella prima fase di un disegno volto ad estendersi all’intera Europa. Così è stata trasformato in crimine di guerra, con il contributo attivo del tribunale penale internazionale, il trasferimento in Russia di bambini del Donbass dovuto, di fatto, a tutt’altri motivi; mentre è caduta in un assordante silenzio l’intenzione ufficiale di Kiev (espressa in un’intervista a Limes) di deportare, una volta riconquistata la Crimea, l’intera popolazione russa. Così tutte le informazioni/opinioni/notizie proveniente da Mosca sono state condannate come grossolani tentativi di interferenza mentre quelle provenienti da Kiev prese, almeno in prima battuta, per buone. Così, infine, qualsiasi evento negativo verificatosi in Europa, a partire dall’esito delle elezioni è stato interpretato come frutto dello zampino di Mosca; leggi delle sue “interferenze”.

Come dice un proverbio arabo “ognuno è padrone di quello che tace e schiavo di quello che dice”. Riportato nell’oggi: “abbiamo creato il Drago e incoronato preventivamente il San Giorgio che lo abbatterà; e allora non possiamo star lì a cavillare sulla lunghezza della sua lancia o sull’efficacia reale dei suoi colpi.  Non crediamo, è vero, neanche un po’ alle sue possibilità di vittoria; ma speriamo che capisca da solo come stanno le cose, traendone le necessarie conseguenze”.

A pagare le conseguenze di tutto questo sarà, in primo luogo, il popolo ucraino; una ragione forte all’occhio di tutti per chiuderla lì; ma anche un argomento a disposizione di chi intende continuare solo per salvaguardare il suo potere.

Ci hanno insegnato che l’essere occidentali significa solidarizzare con i popoli oppressi; ma non è affatto detto che questa solidarietà debba estendersi automaticamente ai loro dirigenti…

 

 

 

 

 

 

Alberto Benzoni

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