Craxi, un socialista

Leggo, in questi giorni, della cerimonia che si è tenuta ad Hammamet, nel ventitreesimo anniversario della morte di Bettino Craxi. Una cerimonia che ha avuto come officiante la figlia Stefania e come Erede designato Silvio Berlusconi, nella sua qualità di amico fedele e di protettore, difensore e valorizzatore della dignità e del ruolo politico del popolo socialista e dei suoi rappresentanti.
Ma questo ci sta. Perché, per Stefania, le sorti del socialismo si identificano con quelle di suo padre. E si contrappongono a quelle di una sinistra che non avrebbe mai potuto fare i conti con il suo passato giustizialista.
Leggo ancora che la destra, presente in modo significativo ad Hammamet, si appresta a inserire Craxi non solo nel variegato Pantheon della Meloni ma, ancor più, tra i suoi “testimonial” storici.
Ma anche questo ci sta. Per chi ha arruolato Dante (suggerirei anche Manzoni, per il suo orrore del disordine e delle manifestazioni di folla e Leopardi per il suo ripudio delle “magnifiche sorti e progressive”), inserire Craxi nella lista è certamente un peccato, ma veniale.
Leggo, infine, sulla Stampa un avallo, diciamo un po’ stomachevole, all’operazione. Che, però, non mi sorprende. Perché siamo di fronte a un organo che rappresenta la “stampa di regime” prona a lisciare il pelo per il suo verso nei confronti del potere esistente; così come, sia detto per inciso, al più bieco conformismo sulle questioni internazionali. E questo non ci sta. Ma, per chi conosce i nostri polli, non può essere motivo di particolare indignazione.
Quello che offende e non può essere tollerato da chiunque abbia un cuore e un’anima socialista è il silenzio assordante di quanti erano presenti alla manifestazione e dello stesso partito socialista. Perché non siamo di fronte a una distrazione episodica ma a un atteggiamento consolidato nel tempo. Fino a non reagire mai nei confronti di quanti, tra le nostre file, vedono Craxi come il precursore sfortunato di Calenda e di Renzi. E a non ricordare che lo stesso Craxi era stato il capro espiatorio di una pseudo rivoluzione non perché corrotto e “di destra” ma perché era un socialista rimasto solo a difendere i valori e i principi della prima repubblica.
E’ vero: il Nostro avrebbe potuto essere legittimamente contestato per le sue scelte politiche: leggi per un’esperienza di governo, in alleanza con la destra democristiana; che, da sola, vocava all’insuccesso qualsiasi disegno di tipo mitterrandiano. Ma è anche vero che, nel momento del pericolo, nessuno si alzò per dire “io ve l’avevo detto”; perché nessuno, ma proprio nessuno era in grado di farlo. Come è vero che a squagliarsi al primo colpo di tuono era stato un partito, grande beneficiario, perché libero di gestire nel modo più disinvolto, potere e denaro, all’interno del sistema craxiano; ma è anche vero che quasi tutti i fruitori di quel sistema, furono i primi ad abbandonarlo, fuggendo nelle più diverse direzioni o, addirittura, tradendolo senza pudore per “restituire ai socialisti l’onore perduto”.
Inutile parlare di quello che accadde dopo. Le miserie di quanti, a trent’anni data, usano Craxi come clava per colpire dei “comunisti che si erano già suicidati per conto loro; e con una mutazione genetica infinitamente più grave di quella imputata al Nostro. E le urla di sdegno di giustizialisti attardati”.
Molto meglio parlare di lui. Di un personaggio tragico per quello che ha dovuto subire, per le molteplici contraddizioni che gli impedirono di raggiungere i suoi obbiettivi, per la coabitazione impossibile tra le indicazioni della sua intelligenza e le pulsioni dei suoi visceri, per l’odio implacabile di cui fu oggetto e, soprattutto, per la percezione acuta, che lo accompagnò sempre, della falsità e della profonda ipocrisia del mondo che lo circondava.
Poche parole per farlo. Basta e avanza un’immagine. Quella della grande fotografia di Salvador Allende che troneggiava nel suo studio, dietro la sua scrivania. Un eroe, perdente, di quell’ideale socialista e, ebbene sì, di quell’istinto di classe che Craxi portava dentro di sé, al punto di non sentire il bisogno di gridarlo dai tetti.
E non c’è nient’altro da aggiungere.
Alberto Benzoni
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