Contro la cultura della guerra
Non siamo nel 1914. Allora le cancellerie e i popoli dell’Europa precipitarono a poco a poco nell’abisso, per un concatenarsi di scenari segretamente preordinati, in una guerra che i socialisti non sarebbero stati in alcun modo in grado di impedire e che sarebbe stata completamente diversa da quella che tutti prevedevano.
Oggi non è così. Oggi tutti sanno a cosa andiamo incontro; magari per il solo propagarsi di un incendio acceso per incuria o per colpevole e meditata irrazionalità, in qualche area sensibile del mondo. E lo sanno anche i nostri governanti.
La loro irredimibile debolezza, che porta anche all’inefficacia il loro tentativo di indurre alla moderazione gli attuali portabandiera dei valori dell’occidente e i loro cantori, consiste nell’incapacità di conciliare la moderazione degli obbiettivi (niente rappresaglia, niente guerra oltre i confini dell’Ucraina) con la radicalità delle impostazioni ideologico/propagandistiche. Se l’Ucraina è il baluardo della democrazia e dell’Europa contro il disegno del novello Hitler di distruggerle e di invaderle, se la sua è la battaglia del Bene contro il Male, gli si devono dare tutti i mezzi per vincerla e ogni ricerca di porre fine ai combattimenti è un tradimento. E, ancora, se Israele è il muro di difesa della civiltà occidentale contro l’odio bestiale delle folle arabe rappresentato da Hamas, ha senso la rappresaglia in tutte le sue forme, dal bombardamento di tutti gli spazi in cui sono annidati, fino al catalogare gli immigrati come potenziali criminali e i manifestanti filopalestinesi come complici di Hamas.
E, infine e soprattutto, se a dominare incontrastata è la cultura della guerra, per cui, parafrasando Clausewitz, “la politica è una guerra condotta con altri mezzi”, il mondo che ci attende, il mondo in cui dovranno vivere le nuove generazioni, sarà dominato dalla cultura della guerra. Un mondo in cui, forse, rimarranno intatti i retaggi materiali del passato e la vita delle persone: ma a costo delle condizioni basilari su cui si regge la nostra vita collettiva. Dalla fiducia negli altri al valore del conflitto e del dissenso. Dalla solidarietà collettiva ai diritti dei più deboli. Dalla difesa dell’ambiente alla lotta alle disuguaglianze. Dalla costruzione di un mondo multipolare alla attenzione ai valori e agli interessi dell’Altro.
Il nostro dovere di uomini di buona volontà è dunque quello di reagire. Qui e ora. Un appello che si rivolge, in particolare al mondo cui apparteniamo visceralmente, quello socialista e della sinistra. Intendendo per tale, senza chiusure settarie, quello che crede ancora nei valori del socialismo. Quello che, da oltre due secoli a questa parte, è praticamente il solo a combattere contro la cultura della guerra e della violenza. Perché abbiamo avuto il terribile privilegio di verificarne gli effetti sulla nostra pelle e su quella delle persone che hanno sempre fatto parte del nostro orizzonte e alle quali siamo sempre stati solidari. Tante battaglie, tante sconfitte ma, in compenso il dono, magari anche doloroso dell’immortalità o, se preferite, della capacità di risorgere.
È questo il senso di un appello e di un appuntamento in cui, come socialisti e come uomini di buona volontà, ci giuochiamo tutto. E a cui proprio per questo, non possiamo mancare.
Alberto Benzoni
Roberto Biscardini
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