Critica Sociale - Portale della Rivista storica del socialismo fondata da Filippo Turati nel 1891
Critica Sociale ha ottenuto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica

IL PROBLEMA MIGRATORIO, COME NON AFFRONTARLO

Pubblicato: 26-03-2023

 

Recentemente, dopo un mio post indignato sul trattamento dei migranti da parte del governo italiano (ma si potrebbe dire lo stesso, se non di peggio, per quanto riguarda altri paesi europei, vedi Francia, Gran Bretagna, Polonia, Grecia e via discorrendo), un mio polemico amico mi ha invitato a “indicare soluzioni”. Invito che ho imprudentemente accolto. Ma anche impegno a cui non sono in grado di assolvere; per i miei limiti, leggi per la mia scarsa competenza in materia, certo. Ma anche perché il problema è irrisolvibile, non foss’altro per le sue dimensioni. Secondo stime Onu, oggi poco più del 10% della popolazione mondiale vorrebbe lasciare il proprio paese. Percentuale piccola, mi direte; ma si tratta di oltre 900 milioni di persone, e in un mondo che, a differenza dei secoli scorsi, non offre spazi vuoti; e, al loro posto, presenta popolazioni per cui ogni nuovo arrivo rappresenta una minaccia se non (Polonia dixit) parte di una “guerra ibrida” contro l’Europa, l’occidente, la democrazia e via blaterando. Per arrivare a sollecitare la Nato, ben lieta di assumersi questo nuovo compito, per bloccare i barconi nel Mediterraneo e, già che ci siamo, per inseguire i migranti nelle savane e nelle foreste africane, con il pretesto di fare la guerra alla Wagner, ultimamente individuato come ”primo responsabile dell’esodo”.

Per tornare alla nostra casella di partenza il problema fa parte di quelli irrisolvibili. Ma, proprio per questo motivo, dovrebbe essere gestito in modo razionale. Mentre oggi è gestito in modo, oltre che inumano, irrazionale. E lo sarà finchè lo spazio per collaborazioni e impegni comuni sarà ridotto quasi a zero dal dilagare di conflitti condotti in ogni campo e con tutti i mezzi. Conflitti i cui effetti collaterali, che si tratti di diritti negati o di mancanza di risorse essenziali per il vivere, sono fatalmente pagati dai più deboli.

Ciò limita fortemente il campo visuale di chi si cimenta per “indicare soluzioni”. Fino a limitarlo, nello specifico, alla situazione italiana.

Vale anche per noi la contraddizione in cui si stanno trovando altri paesi europei. Leggi il fatto che non si può avere, insieme, un’accoglienza a maglie larghe e un processo efficace di integrazione. Aggravato dal fatto, lo dico con la dovuta dose di cinismo, che come paese mediterraneo, non possiamo erigere muri e fare respingimenti. (E, sia detto per inciso, nemmeno espellere persone in mancanza di accordi con i paesi d’origine; ammesso e non concesso che questi siano disposti a farli).

Il fatto è che, nel dubbio, non facciamo né accoglienza né integrazione.

Non facciamo accoglienza. Perché le nostre leggi, così come le gestione concreta delle medesime, rendono automaticamente “clandestini” tutti quelli che arrivano nel nostro paese in cerca di un lavoro e di una vita migliore. Potendo contare, al massimo, sul riconoscimento, sempre più restrittivo, del diritto d’asilo. Mentre, come ha dimostrato Milena Gabbanelli, il “decreto flussi” per ragioni di lavoro serve a regolarizzare chi già sta in Italia e non chi vorrebbe entrarci.

Non facciamo integrazione perché le condizioni per l’accesso alla cittadinanza sono le più restrittive tra i paesi dell’Europa occidentale; e perché manca, a differenza di quello che accade, per esempio, in Germania, lo stesso processo di integrazione, in tutti i suoi aspetti concreti, è delegato alla società civile, senza alcun impegno da parte dello stato.

Si aggiunga, infine, a completare il quadro , che il dibattito pubblico sul tema, lungi da affrontare temi concreti suscettibili di migliorare e rendere più gestibile la situazione attuale, contrappone buonisti e cattivisti, anime belle e politicanti senza scrupoli, con la regolare prevalenza dei secondi. In Italia, ma anche in Europa.

In queste condizioni, il massimo che si possa fare, qui e ora, è quello di non peggiorare la situazione. Aprendo, nel decreto flussi, una qualche possibilità di entrata a chi sta fuori. Aiutando concretamente chi lavora per l’integrazione (penso alla sorte subita da Mimmo Lucano). Inserendo negli accordi con i paesi di frontiera, garanzie e sostegni internazionali per un trattamento dignitoso dei migranti.

Per il resto, per tutto il resto, bisognerà aspettare che cambi il mondo. “Vaste programme”. Ma anche un impegno cui non possiamo sottrarci.

 

Alberto Benzoni

Condividi

Facebook Twitter WhatsApp Telegram E-mail